Il premio
Per una moltitudine di studenti l’Odissea termina al 23° capitolo, quando Ulisse dopo dieci anni di guerra di Troia e altrettanti trascorsi in avventurose e tragiche peripezie per il Mediterraneo torna a Itaca e, sconosciuto, fa strage dei Proci, prima di rivelarsi a Penelope. In realtà l’opera ha un ultimo capitolo, il 24°, poco noto ai più e che raramente diventa materia di studio a scuola. Motivo per cui è malauguratamente destinato all’oblio: un sentimento che mal si concilia con la ferocia che anima l’azione vendicatrice dell’astuto conquistatore di Troia e che, purtroppo, prevarica nell’azione dell’uomo (nella foto accanto, la scrittrice Angela Nannetti con il conte Gian Annibale Rossi di Medelana titolare di Castello del Terriccio).
L’originale lettura che Paolo Mieli ha fatto, in veste di storico, del grande libro di Omero, ha letteralmente ammaliato il pubblico intervenuto numeroso al Castello del Terriccio di Castellina Marittima, Toscana. L’occasione di questa lectio magistralis fuori programma è stata la proclamazione del vincitore della prima edizione del premio “Vino del Terriccio” dedicato al “romanzo storico”, di cui Mieli era presidente di giuria, composta anche dallo storico Niccolò Capponi e dal medievalista Tommaso di Carpegna Falconieri.
Oltre 30 le opere di scrittori italiani e stranieri candidate al premio dotato di ricca pecunia (20mila euro al vincitore e cifre inferiori ai due secondi) che, dopo una prima e una seconda scrematura, ha portato in finale “Il bambino di Budrio” della scrittrice Angela Nannetti (Neri Pozza Editore), “La dama nera” dell’inglese Sally O’Reilly (Sonzogno) e “L’inventore della dimenticanza” di Pierluigi Panza (Bompiani). Ad aggiudicarsi questa prima edizione è stato il romanzo della Nannetti.
Ai tre finalisti è stata inoltre assegnata una impegnativa confezione di vino del Castello del Terriccio: rosso Lupicaia 2004, frutto di un blend di taglio bolgherese a base di uve Cabernet Sauvignon, Merlot, Petit Verdot che l’azienda del conte Gian Annibale Rossi di Medelana produce da una manciata d’anni e che ha già scalato le vette più alte del firmamento enologico. Al punto che il fine “naso” di Luca Gardini, già campione mondiale dei sommelier, lo ha inserito tra i 50 miglior vini del mondo.
Dunque, un prodotto di eccellenza della filiera agroalimentare made in Italy che dà ulteriore valore a un premio letterario che apre nuovi orizzonti al romanzo storico. Ambito per il quale il nobile mecenate ha particolare attenzione, essendo egli stesso cultore di quella parte di storia che va dalla battaglia di Hastings (Sussex) vinta da Guglielmo il Conquistatore, duca di Normandia, nel 1066, alla caduta di Napoleone Bonaparte e successiva spartizione dell’Europa al Congresso di Vienna, nel 1815.
L’azienda, l’imprenditore, la storia
Ancora prima di essere azienda agricola faunistica venatoria tra le più estese della Toscana (1.700 ettari senza soluzione di continuità, prospiciente la costa degli Etruschi tra Cecina e Livorno), il Castello del Terriccio è sito storico che annovera antiche vestigia e reperti archeologici risalenti al Medioevo. Nei secoli la proprietà è passata di mano in mano dalla Chiesa di Bonifacio VIII° alla famiglia Gaetani, ai principi polacchi Poniatowski, fino ai conti Serafini Ferri, da cui Rossi di Medelana ha poi ereditato negli anni Settanta del secolo scorso.
È da allora che questa grande tenuta, una volta a prevalente coltura cerealicola in mezzadria, dagli anni 90 ha cambiato registro, sposando tutta un’altra filosofia aperta a nuovi e specializzati comparti produttivi.
Ecco allora la presenza di mandrie di mucche da carne della pregiata razza Limousine che vivono allo stato brado. <Ne abbiamo un’ottantina e i vitelli che vi nascono giunti a sette otto mesi li vendiamo ad altri operatori per l’ingrasso. È un’operazione che in futuro vorremmo completare in azienda>, dice Rossi di Medelana. Il quale tiene a fare sapere che questi capi per 365 giorni e notti dell’anno vivono sotto le stelle, pascolano e si alimentano unicamente di ciò che vi cresce nei 300 ettari della tenuta ad essi riservati. Chiaro riferimento a quella coltura che fa della biodiversità un valore da tutelare ad ogni costo.
Ecco l’allevamento di cavalli da trotto, con la presenza di una settantina tra fattrici, stalloni e puledri tra cui diversi esemplari campioni di concorsi internazionali. Uno sport che Rossi di Medelana ha amato e continua ad amare, nonostante una brutta caduta da cavallo nel ’79 lo abbia privato dell’uso degli arti inferiori.
Non meno importante è la coltivazione dell’ulivo, con la presenza di oltre 10mila piante che, a dirla tutta, aspettano di metodiche colturali migliorative di cui la proprietà è consapevole di dover fare. Al momento però l’attenzione del conte e delle maestranze impiegate (una ventina di persone) è tutta per il settore vitivinicolo, con risultati lusinghieri, come dimostrano i successi conseguiti dai vini della tenuta, in particolare il già citato Lupicaia.
Ora, dire che la Toscana è terra di grandi vini rossi è come scoprire l’acqua calda. Meno scontato è il fatto che nel bolgherese i rossi sono figli di uvaggi che poco hanno a che fare con i vitigni autoctoni toscani tipo Sangiovese. Qui infatti l’esperienza fatta già dagli anni Cinquanta da “vignaioli” lungimianti come i marchesi Incisa della Rocchetta, che hanno optato per i vitigni internazionali, ha dato frutti eccellenti del calibro di Sassicaia o di Masseto di Ornellaia, per citare due tra i vini italiani più noti a livello mondiale.
E sono questi esempi ad avere convinto Rossi di Medelana a investire, a inizio degli anni Novanta, nel vino, optando per i vitigni alloctoni, sia rossi che bianchi, e affidando il progetto alle esperte mani di agronomi, vignaioli, tecnici di cantina capitanati dalla sapienza enologica di Carlo Ferrini. Di qui il discorso della selezione viticola, dell’abbattimento delle rese produttive a 900 grammi di uva per pianta e altro ancora. Scelta impegnativa e costosa, <ma l’unica – sottolinea Rossi di Medelana – a dare ai nostri vini e al Lupicaia in particolare carica polifenolica e struttura ottimale, nonché una notevole capacità di invecchiamento>. E questo per Castello del Terriccio dev’essere un trofeo molto più importante di un bilancio che per il break-even <bisogna aspettare ancora>.
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