La neo Governatrice Alessandra Todde è dunque la prima presidente della Regione Sardegna donna. Lo hanno scritto e commentato un po’ tutti i media locali e nazionali di questi giorni. Eppure, c’è qualcosa che, pur detto solo di striscio, merita maggiore considerazione.
Il riferimento va al fatto che la signora Todde, ancorché vantare un risaputo curriculum professionale come top manager e imprenditrice di successo, è anche la prima sommelier italiana chiamata a ricoprire un incarico così prestigioso e non certo facile.
Una medaglia che lei stessa ha tenuto a sottolineare, brindando la nomina con il tintinnio di calici colmi di Cannonau, vino rosso intenso che più autoctono e tipico dell’isola dei 4 mori non si può. Al pari della Vernaccia di Oristano e della millenaria Malvasia di Bosa. Dunque, una cifra tutt’altro che effimera, considerato il delicato momento in cui ampi settori dell’agricoltura, vale a dire un pezzo ineliminabile del paese reale, sono stravolti trasversalmente da una grave contraddizione politica, sociale ed economica.
Orsù, ben venga una persona, un tecnico, una interprete della politica capace, che conosce anche come si fa il vino e lascia intuire come minimo attenzione alle problematiche del settore. Proprio quando la professione agricola è messa con le spalle al muro e da settimane, mesi grida rabbia con blocchi stradali e i trattori che invadono le capitali di mezza Europa. Non ultima la sfilata andata in scena a Bruxelles, in concomitanza del Consiglio di ministri dell’Agricoltura Ue.
Una protesta mirata, certo. Per dire che la Politica agricola comune (Pac), così com’è stata concepita, proprio non va. Esattamente come ha sostenuto, a margine del Consiglio, lo stesso ministro Francesco Lollobrigida, secondo il quale, e non solo, “la Pac è stata scritta male. E quando si scopre che è fatta male, la miglior cosa che si può fare è correggerla”. E allora, buon lavoro signor ministro Lollobrigida.
Come andrà a finire lo si capirà al tempo delle scelte che faranno a Bruxelles i delegati dei 27 Paesi Ue. Tutti desiderosi di difendere i propri interessi, ma consapevoli del fatto che i compromessi sono inevitabilmente frutto di estrapolazioni calibrate su proposte in partenza disomogenee. Al che l’augurio minimo indispensabile, in tempi di cambiamenti climatici e quant’altro, e che si facciano accordi parametrati a modelli di un’agricoltura rispettosa dell’ambiente, equa nel ritorno economico per la filiera, gagliarda nell’aprirsi alla ricerca e all’innovazione.
Non una chimera, ma un fare impresa sostenibile a portata di mano che, per state allo Stivale, abbia rispondenza nei valori della tavola made in Italy. Ovvero un patrimonio che si perpetua e s’innova in continuazione. Tutto questo perché l’Agricoltura è un atto d’amore, produce interessi e va strenuamente protetta, come si può ben dire interpretando i due casi aziendali riportati di seguito, scelti a caso tra mille e mille altri di cui l’Italia è patria eletta.
Tasca d’Almerita e i vigneti come giardini di Sicilia
Tra fine dicembre e metà febbraio, nelle tenute di Regaleali, cuore della Sicilia dove tutto è cominciato per Tasca d’Almerita, quindi Mozia, Etna, Salina ci si dedica alla preparazione delle piante per la nuova stagione.
Infatti, “con l’arrivo dei primi freddi – spiega il presidente dell’azienda Alberto Tasca (nella foto a sx con il fratello Giuseppe) – le piante entrano in uno stato di quiescenza, i tralci sono spogli delle loro chiome, lo sviluppo vegetativo si ferma, la vite è finalmente a riposo. Ma anche se il vigneto è in dormienza, tra i filari si continua a lavorare. Questo è il momento ideale per potare, eliminare i tralci vecchi lasciando spazio a quelli nuovi che porteranno i preziosi frutti”.
D’inverno ci vuole proprio tanta passione per essere attratti dalla campagna. Per i vigneti, però, questo è uno dei momenti più delicati dell’anno, destinato ad avere una incidenza significativa nello sviluppo vegetativo delle piante.
Il visitatore curioso che ha modo di addentrarsi tra i filari di vigne spoglie noterà crescere una vegetazione rigogliosa, dai mutevoli colori: un misto di cavoluzzi di vigna, rughetta violacea, sulla, fave e altre leguminose sono alcune delle numerose specie seminate di proposito. Lo scopo è quello di alimentare e far salire l’asticella della biodiversità nel vigneto, nonché permettere un maggior grado di protezione del suolo.
“Queste piante – conclude il presidente Tasca -, insieme ad altre specie selezionate in base alle diverse condizioni climatiche e struttura dei terreni, hanno un ruolo fondamentale nel prevenire l’erosione dei suoli collinari. Quanto all’inerbimento, si tratta di una pratica che aiuta a conservare e performare meglio la fertilità fisica, chimica e microbiologica del suolo, favorendo anche lo sviluppo radicale e l’assorbimento dei microelementi”.
Certo, nel caso specifico non è tutto per produrre vini di gran qualità, è altrettanto essenziale il fattore cantina e la bravuta di quanti ci lavorano, a partire dall’enologo. Ma almeno in campagna bastano pochi e mirati interventi non invasivi per salvaguardare la naturalità delle uve e tutelare al meglio il territorio, dando linfa vitale a coltivazioni agricole sostenibili.
Banfi e la risorsa di investire nel benessere dei lavoratori
Lo hanno chiamato “Progetto sperimentale” ed è finalizzato al miglioramento dell’attività degli operai agricoli, con ricorso a forme di impiego flessibile, bilanciate tra i bisogni dei lavoratori e le esigenze dell’azienda.
Il Progetto firmato da poche settimane tra la società Banfi Agricola di Montalcino, Rsa aziendale, Flai Cgil e Fai Cisl, si ispira ai principi della Carta di Urbino che considera la sicurezza, salute e benessere del lavoratore beni assoluti e inalienabili.
“Il capitale umano per qualsiasi azienda costituisce la risorsa più preziosa. Ed è in questa ottica che Banfi ha deciso di dare il via a questo Progetto che sperimenta un capitolo nuovo nella gestione delle risorse umane”, dice a TerraNostra il presidente della società Enrico Viglierchio, già pupillo del compianto Ezio Rivella, enologo di fama mondiale e artefice del successo Banfi deceduto di recente.
Nei fatti “la società – aggiunge Viglierchio – ha inteso dare una risposta tangibile alle esigenze dei propri dipendenti, introducendo per gli operai a tempo indeterminato turni a orario ridotto per 8 mesi l’anno. Dove ciò non è stato possibile, gli operai verranno compensati con 30 ore di flessibilità, fruibili per qualunque esigenza. Per gli operai a tempo determinato, è stato invece incrementato il premio di presenza al lavoro.
Altri aspetti importanti è il Comitato di valutazione, composto dai rappresentanti sindacali e capireparto scelti dagli stessi lavoratori, e il Fondo ferie solidali alimentato da donazioni volontarie dei dipendenti e dirigenti. Ai beneficiari verranno consentite giornate di permesso aggiuntivo, in occasione di eventi particolari.
Per il vicepresidente e direttore delle risorse umane Gabriele Mazzi “il Progetto sperimentale è stato possibile fare grazie al dialogo continuo tra le parti e costituisce il miglior investimento che permette a Banfi di perseguire una politica produttiva sostenibile fatta di proposte rappresentative dell’eccellenza made in Italy.”
Le analisi di “TerraNostra”
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