È un caso, ma anche un fatto che la vigilia di quella che doveva essere l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, per l’Italia si è rivelata trampolino di rilancio del proprio export internazionale e salire nella graduatoria dei primi cinque paesi maggiori esportatori di merci in Germania, pur sempre locomotiva d’Europa. Scalzando, con 66 miliardi di euro all’attivo, proprio la Gran Bretagna, retrocessa al sesto posto.
Più che altro un successo del made in Italy, anche in un tempo in cui gli interscambi commerciali tra paesi della stessa Unione incontrano difficoltà, in parte dovute allo spauracchio Brexit. Il cui D-day, previsto per quest’oggi, si allontana con i britannici chiamati a elezioni anticipate il 12 dicembre e l’Unione europea che ha spostato i paletti per la decisione finale al 31 gennaio prossimo.
Toccherà al futuro esecutivo di Westminster riflettere su come chiudere il puzzle avviato con il referendum popolare del 23 giugno 2016.
Nel frattempo l’orizzonte europeo resta pieno di insidie. Il che non agevola il dialogo politico, innervosisce i mercati e alimenta ansie tra gli operatori, in particolare quanti hanno rapporti commerciali con partner esteri. Talché l’attesa della Brexit, ancorché incidere sui normali flussi economici tra la due sponde della Manica, ha finito per riverberarsi anche all’interno dei restanti 27 partner dell’Unione.
Motivo che ancora una volta ha permesso all’Italia di arrotondare la propria capacità di paese export oriented, chiudendo i borderò dei primi otto mesi dell’anno a livello globale con un saldo positivo di circa 33 miliardi di euro, a fronte di export per 313 (+2,6%) e import per 280 miliardi (+1%).
Nonostante ciò, il quadro internazionale resta parecchio incerto e affastellato di problematiche irrisolte. Ragione per cui istituzioni imprenditoriali di Germania, Austria e Italia hanno sentito la necessità di incontrarsi e discutere dei possibili scenari prossimi futuri che l’applicazione della Brexit potrà ineluttabilmente condizionare in un senso o nell’altro gli scambi commerciali intra europei, come pure con i paesi terzi.
È quanto hanno fatto partecipando alla tavola rotonda promossa dalla Camera di Commercio Italo-Germanica e dallo studio legale internazionale Giebelmann & Salvoni, tenutasi nel cinquecentesco Palazzo Lana in Franciacorta, sede della casa spumantistica Guido Berlucchi (foto in alto). Un incontro che ha visto la partecipazione di esponenti dell’economia lombarda e avente per filo conduttore la domanda: con la Brexit come cambieranno i rapporti economici tra Germania, Austria e Italia?
Domanda che la moderatrice dell’incontro Angela Giebelmann ha posto ai diversi relatori, non prima di avere sottolineato come “l’Unione europea in quanto persona giuridica è ben più importante di una comunità … e che quella voluta dai padri fondatori, ancorché mettere fine alle guerre tra paesi, doveva facilitare e agevolare gli scambi commerciali tra partner. Ma che la Brexit e l’ipotesi di una nuova dogana potrebbero mettere a rischio”.
Spauracchio che il Console commerciale austriaco in Italia Gudrun Hager e il Consigliere delegato della CdC Italo-Germanica Jorg Buck hanno escluso possa accadere tra i Paesi “Remain” dell’Unione. Dove, anzi, vi è la convinzione che le relazioni commerciali ne trarranno beneficio, sempre tenuto conto di quella che potrà essere l’evoluzione mercantile in atto.
Andamento che, per quanto concerne i rapporti bilaterali dei tre paesi presenti all’incontro di Franciacorta, restano solidi e incoraggianti. Come appunto dimostra l’interscambio tra Italia-Germania che lo scorso anno ha totalizzato 121 miliardi di euro, di cui export made in Italy per 66 miliardi e import tedesco per 55 miliardi di euro. Non per questo si può escludere che di problemi non ce ne siano.
Anzi, basti dire dell’incertezza che domina sovrana sul palcoscenico. Incertezza che Jorg Buck accosta alla normalità delle cose e che, citando Antonio Gramsci, ”impedisce di vedere il nuovo dietro l’angolo”. Di fatto un macigno che disorienta e penalizza la crescita. Motivo per cui la Brexit è per Gudrun Hager una pillola amara che va presa subito, perché dice: “E’ sempre meglio preferire una fine dolorosa a un dolore senza fine”.
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