Non ha ancora trent’anni e già vanta un background di musicista e musicologa d’avanguardia, con un pentagramma di note senza confini: peculiarità che per la lucchese Beatrice Venezi sono il frutto di doti naturali e della caparbia applicazione allo spartito. I risultati sono sorprendenti, come si intuisce dal fatto che la rivista americana Forbes l’abbia inserita tra le 100 personalità under 30 di cui si parlerà nel prossimo futuro.
Compositrice e direttore d’orchestra, Venezi per queste sue cifre non fa che andare di teatro in teatro, protagonista acclamata sui palcoscenici più prestigiosi del mondo. Compresa l’Italia, dove il suo talento musicale e la voglia di innovare l’hanno portata ad abbracciare il progetto “Cat Paradox”, una via sperimentale in cui si intrecciano le partiture di musica sinfonica ed elettronica.
Se n’è avuto prova nel corso di una esibizione estemporanea nella sede Feltrinelli di Milano, in occasione della consegna del “Premio Leonia per l’Audacia”, assegnatole per il 2019. Un premio giunto alla sesta edizione che, come ha ricordato Lamberto Frescobaldi, presidente dell’omonima casa vitivinicola promotrice dell’iniziativa, viene conferito a personaggi della cultura, della scienza, dell’arte, dell’imprenditoria che “accettano le sfide future e competono con costanza nell’intraprendere scelte coraggiose e geniali”. Appunto, audaci.
La stessa audacia che ha dimostrato di avere più di un secolo e mezzo fa Leonia degli Albizzi, discendente dell’omonimo casato che nella Firenze dei Medici non ebbe alternative, se non quella di riparare in Francia. Salvo poi rientrare nel 1863 proprio con Leonia, andata in sposa ad Angelo Frescobaldi, e portando in dote la tenuta di Pomino in terra toscana.
Ed è a Pomino e in un’epoca in cui i costumi del vignaiolo erano tutti al maschile, che donna Leonia aprì le porte d’Italia ai vitigni francesi Chardonnay e Pinot nero: gli stessi che tutt’oggi danno contenuto e gusto a un fine e delicato spumante classico, il brut Leonia. Non solo, ma fece realizzare una cantina a lavorazione per gravità: la prima che si sappia della pur ricca storia enologica italiana, che le valse la medaglia d’oro di Expo Parigi nel 1878.
L’audacia che contagia e dà lustro al vino italiano
La storia di Leonia, ancorché rivelatrice di un disegno innovativo per l’epoca, non è certo l’unico esempio di audacia imprenditoriale che ha accompagnato la crescita della vitivinicoltura italiana. Esempi che continuano, a dimostrazione che è proprio nei momenti più critici – e questo continua a esserlo – che si consolida la convinzione che solo con progetti audaci e coraggiosi si può voltare pagina.
Così è stato al tempo in cui, per esempio, Gaetano Marzotto con Santa Margherita dava linfa e fiato al Pinot grigio; Tasca d’Almerita a Regaleali si faceva interprete eccellente di uno “sconosciuto” Nero d’Avola; De Bartoli con il Vecchio Samperi rivitalizzava il tradizionale Marsala; Giacomo Rallo di Donnafugata a Pantelleria dava nobiltà a un passito fino ad allora privo di personalità.
Così è stato quando i Mariani con Rivella negli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso con Villa Banfi cambiavano materialmente il volto di Montalcino e del suo Brunello, che allora versava in forte ambasce, dando il via a uno dei più travolgenti successi vitivinicoli degli ultimi quarant’anni. E che dire di Giacomo Bologna che con la Monella e il Bricco dell’Uccellone di Braida ha scavato a fondo per portare alla massima esaltazione un vitigno maldestramente da alcuni considerato povero come la/il Barbera d’Asti.
Casi di successo, appunto. Come quello dei Lunelli che con Ferrari hanno dato personalità a un profluvio di bollicine prima di allora rimaste nel cono d’ombra dello Champagne. Una soggezione liberatoria persino per i laboriosi vignaioli di Franciacorta, capitanati da indomiti personaggi come Ziliani, Zanella, Moretti…
E se in questi anni di inizio millennio il dominus è il Prosecco, non par vero sostenere che il successo, essendo materia fragile e assai sfuggevole, va protetto senza se, riserve e sconti. Evitando che l’ingordigia di clonare copie non sempre all’altezza dell’originale prenda il sopravvento. E magari far fare passi falsi con ricadute tutt’altro che edificanti.
Ne sanno qualcosa in Valpolicella, dove il successo meritatissimo dell’Amarone ha indotto più di un mercante a puntare massicciamente su un titolo dato per sicuro. Salvo poi scoprire maldestramente che se la coperta è corta non è possibile investire di più su una pedina, senza dover rinunciare ad altre altrettanto rappresentative. Fenomeno che da quelle parti in non pochi casi ha alterato la definizione dei listini di vendita dell’uno, e fatto scarseggiare l’offerta del prodotto classico e oltremodo tipico del territorio.
Doveroso, quindi, avviare un cambio di passo. Come quello già compiuto da Bertani, azienda storica con 200 ettari in zona classica, che sotto la guida di Emilio Pedron ha provvidenzialmente mantenuto in equilibrio la produzione di Amarone, ma avviato una nuova linea di vini Bertani Cru che ha ampliato il ventaglio di Valpolicella tradizionale e classico. Una scelta dal riscontro immediato, giacché a meno di un mese dal lancio, le oltre 26mila bottiglie prodotte sarebbero state ampiamente collocate. Una scelta vincente, sicuramente audace.