L’export di vino italiano verso gli Stati Uniti tiene, ma la competizione si fa sempre più dura. E questo, mentre sul fronte delle bollicine prosegue l’ottima performance del Prosecco che spinge l’export degli spumanti a quota 321mila ettolitri (+13,9%) per 164 milioni di dollari (+9,6%).
Nel primo semestre 2017, le spedizioni di vino fermo made in Italy hanno totalizzato 1,29 milioni di ettolitri per 673,7 milioni di dollari, in crescita rispetto allo stesso periodo 2016 dello 0,7% in quantità e dell’1,1% in valore. Ciò ha permesso di confermare la leadership di principale paese fornitore in Usa. Seguita dall’Australia che ha riguadagnato la seconda posizione, davanti a Cile e Francia.
Alla luce di ciò, il peso dell’Italia sul totale dell’import vinicolo statunitense resta solido, con un abbondante 26,1% in quantità e il 31,7 in valore. Tuttavia, come riporta una nota dell’Italian wine & food institute, queste percentuali accusano una piallatura significativa rispetto alla gestione gennaio–giugno 2016, con gli indicatori più elevati a 28,8% in quantità e 33,5 in valore.
Nel dettaglio, le importazioni Usa nel primo semestre 2017 hanno totalizzato 4,9 milioni di ettolitri (+10,9%), per un importo superiore a 2,12 miliardi di dollari (+6,1). Una crescita che ha avvantaggiato gli altri paesi esportatori. In primis l’Australia che ha visto crescere fortemente le proprie forniture (982mila ettolitri, in aumento del 45,5%), grazie a una politica commerciale che ha incentivato le vendite dello sfuso, a prezzi ovviamente più contenuti. Tant’é che il valore dell’esportato in Usa non è andato oltre 182 milioni di dollari, in aumento del 3,9 per cento.
L’impennata australiana ha penalizzato più direttamente il Cile, sceso in terza posizione, a fronte di un sensibile rallentamento del proprio export superiore al 13% in quantità (795mila ettolitri), ma confermando sostanzialmente i valori (133 milioni di dollari).
È tornata a svegliarsi invece la Francia, le cui forniture vinicole in Usa sono ammontate a 648mila ettolitri per 552 milioni di dollari: ambedue le voci in recupero del 19 per cento sul primo semetre 2016. Stesso trend per la Nuova Zelanda, anche se con cifre decisamente contenute.