Dissesti idrogeologici e colpe di nessuno – Il j’accuse inascoltato del 1982 di Paolo Baffi

Dissesto idrogeologico 1Prevenire è meglio che intervenire, dice il saggio. Ma allora perché si realizzano strade e autostrade che crollano al primo stormir di fronde e si costruiscono case sul greto dei fiumi che l’acqua spazzerà via al primo temporale?

Forse perché chi deve fare i calcoli non li fa e chi deve controllare non controlla e la “mazzetta” vale più dell’onorato stipendio?, come ci ricorda la cronaca particolarmente intensa di questi giorni, mesi, anni. E quand’anche scoperti, i malfattori trovano espedienti per restare a … galla? Magari facendo anche il gesto “eroico” di dimettersi dal prestigioso incarico.

Sarà quel che sarà, ma il fatto grave è che quello che una volta era chiamato, a ragione, il “giardino d’Europa”, da molto tempo ormai deve fronteggiare disastri ecologici profondi che causano danni materiali e mettono a repentaglio la vita stessa di un gran numero di italiani.

Dissesto idrogeologico2Si calcola, infatti, che più dell’8% della superficie del Paese, per l’esattezza 29.500 kmq, è potenzialmente a rischio idrogeologico e che oltre l’80% degli 8mila comuni della Penisola sono interessati da questo rischio. Di più. Nell’ultimo quarto di secolo le vittime causate da frane hanno provocato danni a cose e persone, con oltre mille morti. Solo nel 2014, anno horribilis per la sicurezza idrogeologica, ci sono stati 33 decessi per smottamenti e inondazioni e circa 10.000 sfollati.

Sono alcuni dei dati emersi dal convegno sulla Prevenzione del rischio idrogeologico organizzato ieri a Roma dall’Alleanza delle Cooperative Agroalimentari, con l’indicazione che tra che tra le cause del disastro vi sono “l’abbandono dell’attività agricola, la cementificazione e impermeabilizzazione dei suoli, lo spopolamento della montagna e l’assenza di gestione forestale”.

Eppure è la stessa Corte dei Conti – è stato detto – ad annotare come i costi dell’emergenza sono da 3 a 5 volte maggiori rispetto ai costi della prevenzione: solo dal 2010 al 2013, questo costo è stato di 7,5 miliardi di euro, con una media di 2,5 miliardo l’anno.

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L’accusa del Governatore

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Paolo BaffiNon è da oggi che in Italia si discute di dissesto ecologico. Già con la Ricostruzione del dopo guerra furono tanti gli studiosi che misero a fuoco i potenziali rischi idrogeologici cui l’Italia andava incontro. Qualche tempo dopo, persino il Governatore della Banca d’Italia Paolo Baffi (foto accanto) se ne occupò durante gli anni della sua travagliatissima presidenza (1975-79), da lui stesso definita “il mio quinquennio di fuoco”.

Lo ricorda un giovane finanziere e scrittore Beniamino A. Piccone nel libro “Anni del disincanto” (Aragno editore) che raccoglie il carteggio tra Baffi e il giurista ed editorialista de “La Stampa” Arturo Carlo Jemolo (foto sotto).

Nel corposo volume,  presentato di recente nella sede milanese della Banca d’Italia, ancorché dedicato all’analisi storica e di contesto della politica economica del Paese, trovano spazio anche considerazioni che i due protagonisti fanno sulle sorti del pianeta e dell’ambiente. Temi apparentemente lontani dalle questioni del credito e dalla finanza, eppure assolutamente intersecati ad esse.

<Baffi – racconta Piccone – è uno dei primi economisti a denunciare la cementificazione dell’Italia e a farsi difensore dell’integrità dell’ambiente e della natura. “Come può avere un rapporto privilegiato con Dio una specie che ne uccide la creazione?“, scrive in una lettera a Jemolo la sera dell’ultimo dell’anno del 1977, rifacendosi a una epistole che il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, tornato da una visita al Polesine alluvionato nel 1951, scrive al presidente del Consiglio De Gasperi, sostenendo che “la lotta contro la distruzione del suolo italiano, sarà dura e lunga. Forse secolare. Ma è il massimo compito d’oggi se si vuole salvare il suolo in cui vivono gli italiani”.

È ancora il Governatore Baffi che il 14 gennaio 1980 si rivolge allo scrittore e co-fondatore di “Italia Nostra” Giorgio Bassani, sostenendo che da “convinto assertore dei valori che Italia Nostra difende, ritengo che ogni concetto di sviluppo economico riferito alla mera acquisizione di beni materiali sia ormai perento “(estinto/decaduto, ndr).

Traspare qui una sorta di mesta rassegnazione, dopo le dimissioni da Governatore dell’agosto del ’79, date a seguito dell’ignominiosa  incriminazione “per favoreggiamento e interesse privato in atti di ufficio” e che portò anche all’arresto del vice direttore dell’Istituto centrale Mario Sarcinelli. Accuse che si rivelarono del tutto gratuite, con il proscioglimento di ambedue gli attori nel giugno del 1981.

Jemolo Arturo Carlo (1)Rassegnazione che viene vinta per trasformarsi in atto d’accusa l’anno dopo, quando in una lettera dell’1° febbraio 1982 al giornalista Antonio Cederna, ambientalista ante litteram e famoso per le inchieste condotte su “Corriere della Sera” e “l’Espresso” contro la speculazione del territorio e il degrado ambientale dell’Italia, scrive: “Caro dottor Cederna, (…) se Ella volesse rendersi conto de visu, ma forse l’avrà già fatto, di quale sia l’ampiezza del dissesto ecologico del tratto di costa ove abito (Fregene, ndr) penso che resterebbe allibito>.

Un j’accuse che, purtroppo, resta ancora molto attuale nell’Italia dell’Esposizione universale, con tutto il mondo convenuto a Expo2015 che ci guarda.

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