Sviluppo rurale: l’Italia non spende tutti i fondi (2,5 mld) ma per Roma è tutto ok

È incredibile. L’Italia continua a non spendere, o non saper spendere tutti i fondi che l’Unione europea mette a disposizione delle imprese agricole. E da Roma si affrettano a far sapere che c’è da essere “soddisfatti” dei risultati conseguiti. (Quali?) E se qualche neo ci scappa, questo non è imputabile alla macchina burocratica di tale o tal’altra amministrazione centrale o locale che sia, bensì a fenomeni straordinari non programmabili dal gestore pubblico. Insomma, siamo al solito fato cinico e baro.

Questa volta la messa a fuoco della gaudiosa macchina politica punta l’obiettivo sull’assegnazione dei fondi destinati ai Programmi per lo sviluppo rurale (Psr), titolo che ha trovato una collocazione importante nella riforma della Pac. Con il ministero delle Politiche agricole che, anticipando di qualche ora l’anziana Befana, ha scodellato via etere una “calzetta” ricolma di contributi erogati nel 2013 in Italia, pari a 2,5 miliardi di euro, di cui 1,16 miliardi provenienti da Bruxelles. Peccato che molti, tanti, troppi agricoltori italiani non sanno ancora cosa sia e come si applica.

Dice la nota firmata dal ministro Nunzia De Girolamo: “Il lavoro svolto nelle ultime settimane con le regioni sui fondi comunitari di sviluppo rurale è stato intenso e ha portato a risultati molto soddisfacenti. È stato recuperato gran parte del ritardo di spesa accumulato e ciò ha permesso di chiudere il 2013 con il minimo rischio di penalizzazioni finanziarie da parte della Commissione europea… . Solo nel caso della Regione Basilicata non è stata raggiunta la quota minima di spesa stabilita dai regolamenti comunitari, e per questo potrebbe essere costretta a rinunciare a circa 6,8 milioni di euro di fondi. Il condizionale è d’obbligo, perché le autorità regionali hanno chiesto alla Commissione Ue una deroga alla regola del disimpegno, a causa dei recenti e ripetuti eventi alluvionali … .

“Il risultato raggiunto – prosegue la nota – è di grande rilievo, frutto della stretta cooperazione tra ministero, Agea, regioni e organismi pagatori, che conferma le capacità del mondo agricolo di utilizzare al meglio le risorse finanziarie della Ue in un settore strategico per l’economia del Paese… che dimostra dinamicità e propensione a investire per incrementare la competitività delle imprese …”. Tutto bene, allora? Non proprio, poiché a nostro modesto avviso alle belle parole non sempre corrispondono i fatti.

Vigneto Sicilia OvestPer comprendere che qualcosa non funziona come dovrebbe è sufficiente rifarsi alla seconda parte della stessa nota ministeriale. Quella, cioè, in cui si fa riferimento alle percentuali di spesa fatta dai vari enti periferici presi sia singolarmente, sia raggruppati per aree geografiche.

Ebbene, in cima a questa speciale classifica che misura l’efficientismo degli enti amministrativi coinvolti, ancora una volta “si confermano le regioni del Centro Nord, in particolare la Provincia autonoma di Bolzano (con l’89,2% della spesa realizzata), seguita dalla Provincia di Trento, dalla Lombardia e dalla Valle d’Aosta (con il 70% delle rispettive disponibilità), mentre le rimanenti regioni del Centro Nord raggiungono una media di spesa del 67,45 per cento”. Il che non è di per sé una bella cosa vedere regioni considerate virtuose, incapaci a spendere oltre il 30% dei fondi assegnati e pronti all’uso.

Ma c’è chi fa peggio, come capita da sempre alle regioni del Mezzogiorno d’Italia, laddove la “percentuale media di spesa rimane purtroppo nettamente inferiore alla media nazionale”. Di cui però nulla ci è dato sapere, poiché l’estensore della nota sembra averla dimenticata in qualche piega del rapporto originale, anche se noi temiamo che possa trattarsi di una soglia inferiore al 50 per cento. Se così fosse, sarebbe davvero una sciagura non solo per l’agricoltura e gli agricoltori, ma per tutti gli italiani del Nord, del Centro e del Sud. Agli ultimi più di tutti.

Il caso delle mandorle di Cattolica Eraclea

Cattolica Eraclea - Liborio ButeraNel territorio di Cattolica Eraclea (foto di L. Butera), cittadina siciliana di 4mila abitanti (erano 12mila negli anni 50) affacciata sulla costa Ovest e un mare azzurro da sogno e vestigia di epoca romana da rivalutare, oltre a una pregiata uva da vino, olive da olio sopraffino e agrumi che definiamo di classe “A” si coltivano anche magnifiche mandorle.

Le cultivar prodotte “Marchese” e “Tuono” – ottime per la cucina e l’industria dolciaria – reggono il confronto con le migliori specie prodotte altrove, nel mondo. Tuttavia la loro produzione fatta su una quarantina di ettari è parcellizzata tra decine e decine di piccoli contadini, cui manca la forza di reggere il confronto con i buyer che arrivano da fuori. Sicché l’intero prodotto finisce altrove, lasciando che altri si approprino del valore aggiunto derivante dal loro utilizzo finale.

Questo valore potrebbe restare in loco se una parte delle lavorazioni intermedie fosse fatta da strutture locali. Ma queste mancano del tutto, perché a Cattolica Eraclea i giovani, nonostante la bellezza del territorio, continuano a emigrare. E chi è rimasto non conosce ancora cosa sono i Psr, perché nessuno è andato a spiegare loro che vi sono opportunità per ottenere finanziamenti pubblici per avviare una prima fase di sviluppo agroindustriale.

 Il risultato è che la coltivazione di mandorle (ma anche quella di uva, olive e agrumi) rischia di depauperarsi del tutto. Eppure basterebbe una maggiore e più efficiente informazione, promossa dal ministero e via a scendere con tutte le organizzazioni sindacali al seguito, per cambiare il destino di un territorio agricolo e ridare un minimo di fiducia e coraggio alla popolazione.

Ps. Quando chi ha potere decisionale non riesce o non è in grado di informare la periferia, ovvero di consigliare i cittadini e le imprese sulle risorse disponibili (peraltro già pronte, com’è nel caso dei fondi Psr) per fare investimenti a favore dello sviluppo, vuol dire che è tra quelli che pensa che la crisi economica è solo colpa degli altri.