Niko Romito è un giovane ristoratore "tristellato" (si veda articolo precedente) geniale e, a dir poco, coraggioso. Geniale, per la stupefacente sequenza di piatti che s’inventa e che hanno il non comune pregio di spingere il commensale a fare subito il bis e prepararlo, con vogliosa attesa, al piatto successivo. Della serie che se la golosità è un peccato, ben vengano questi assaggi che ti fanno sentire in paradiso. Ai gastronomi l’arduo compito di descrivere le portate servite al Reale di Castel di Sangro, tutti comunque concordi che il maestro di cucina le merita tutte le “tre stelle” Michelin che da pochi giorni brillano, per la prima volta, nel cielo d’Abruzzo.
Niko (nella foto, con barba, mentre vendemmia) è però anche coraggioso. Di quel coraggio che accomuna le persone concrete che parlano poco e fanno molto, tenendo ben presente la meta finale. Che non è solo la conquista di un vantaggio personale, ma è corale con tutti coloro che hanno l’opportunità di interagire con i suoi progetti. Ecco allora il ristorante e il relais Reale, nato a Rivisondoli e trasferitosi tra le mura di un antico convento cinquecentesco a un tiro di schioppo dalle rinomate piste di sci d’Abruzzo, divenuto, in collaborazione con Slow food e l’Università di Pollenzo, primario centro di formazione per futuri protagonisti di sala e cucina.
Ed ecco, ancora, il coraggio di condividere con gli amici della cantina Feudo Antico l’idea di avviare su una proprietà grande come un campo di calcio un vigneto sperimentale di montagna. E chiamarlo Casadonna, quale omaggio alla figura materna delle alture che, con i mille e più metri di altezza, proteggono dai venti freddi del Nord Castel di Sangro. Sì, da farne il luogo ideale per piantare la vigna più alta del Mezzogiorno. Esattamente quello che hanno fatto i tecnici di Feudo Antico, mettendo dimora un vitigno particolare come il Pecorino, la cui prima vendemmia ha coinciso, da un lato, con la festa delle tre stelle assegnate a Niko e il suo team del Reale e, dall’altro, con la notizia che il Pecorino è diventato il vino bianco d’Italia più esportato nel 2012.
Non poteva andare meglio a questi due, tutto sommato, nuovi protagonisti dell’imprenditoria abruzzese. Alleati nel “fare sperimentazione viticola di montagna, con una logica che tiene conto del cambiamento climatico in atto”, come commenta Andrea Di Fabio (nella foto con Niko Romito), anch’egli giovanissimo direttore della cantina abruzzese nata da una costola della cooperazione viticola e lungimiranza di operatori privati locali, tutti accomunati dall’impegno di sostenere l’ultima nata delle denominazioni di origine regionali – la Doc Tullum -, al cui presidente consortile Giancarlo Di Ruscio (foto in basso) va il merito di essere stato strenuo sostenitore dell’intero programma. Che, certo, sta crescendo in termini quantitativi e, soprattutto, contribuendo con signorile tempra al rilancio dei vini regionali (2,5 milioni di ettolitri nel 2012). Che ha per portabandiera un campione d’Italia come il Montepulciano d’Abruzzo.
Il progetto di Casadonna ancorché rientrare in questo piano di ricerca, costituisce di fatto il primo esempio di vigneto di montagna in Abruzzo, regione di per sé ricca di alture imperiose che si affacciano sull’azzurro mare Adriatico, ma ahimè dove la coltivazione della vigna non è mai andata oltre una certa altitudine. Forse per pigrizia di un vecchio modo di intendere la coltivazione della vigna. Ora, però, che una nuova e giovane classe di vignaioli si sta facendo strada, ecco che ci si è spinti molto più in alto in senso figurativo e anche fisico, con le vigne a oltre 800 metri. Dove il centravanti di sfondamento sono le uve autoctone di Pecorino, seguito da altri vitigni locali e innovativi come Pinot nero, Riesling renano, Sylvaner verde, Traminer e Veltliner. Un progetto articolato, questo di Casadonna, che mette insieme il desiderio di fare ricerca con la passione di produrre vino di qualità ad altitudini montane, dove la vera sfida è rappresentata proprio dal Pecorino, considerato finora vitigno di pianura o, al massimo, di media collina. E tutto questo grazie all’impegno di Feudo Antico e al team scientifico guidato dal professore Attilio Scienza dell’Università di Milano.