Bombe e dazi provocano solo guerre: le prime distruggono e provocano morte, i secondi condizionano gli interscambi commerciali, con le imprese costrette a navigare tra nebbie e fumi di cannoni.
Così, mentre si cerca di capire in quale altro angolo del mondo c’è guerra, il presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump continua a rimescolare le carte della partita dazi doganali. Non che la questione fosse finita in cavalleria, ma semplicemente le ha rimesse al centro dei negoziati, in specie con l’Unione Europea, convinto di giungere a una intesa di massima entro mercoledì 9 luglio.
Per qualcuno del coté europeo, un compromesso onorevole lo si potrebbe fare anche oggi, domani mediando sul filo del 10%, che di per sé è ben distante delle super tariffe minacciate dal tycoon statunitense a inizio anno. Fatto è che, per stare agli interscambi della filiera agroalimentare di casa nostra, l’ipotesi di una tariffa universale di questa misura non ha mancato di fare rizzare i capelli anche a chi i capelli non li ha.
Un indicatore di quanto può accadere lo si ricava dal capitolo export vinicolo, un must identitario della tavola made in Italy nel mondo che, dopo aver cumulato nel 2024 volumi per 14 milioni di hl e valori per 8,1 miliardi di euro – record assoluto – tra gennaio e marzo di quest’anno l’asticella dei volumi è arretrata del 2,7 per cento. Tutto sommato poco, rispetto al -9% delle spedizioni avvenute nello stesso arco di tempo verso i paesi extraeuropei (fonte Uiv).
Il confronto con i tre mesi dell’anno prima è consistente, ma diventa una voragine se contestualizzato con le massicce esportazioni avvenute nel quarto trimestre 2024, volutamente anticipate dagli operatori per la supposta introduzione dei super dazi preannunciati dall’amministrazione Usa.
A questo punto, però, e con l’accumularsi di variabili e trend negativi dei consumi di bevande alcoliche, la domanda che ci si pone con insistenza è una sola:
C’è da preoccuparsi seriamente?
“TerraNostra” lo ha chiesto a Massimo Tuzzi (foto fondo articolo), raffinato conoscitore di mercati internazionali del vino, per averli girati in lungo e in largo per anni e da cinque al timone della Holding Terra Moretti di Erbusco, per dire di un gruppo che vanta attività diversificate in costruzioni, ospitalità e vini premium così come le ha concepite nella fase di sviluppo del business il presidente e fondatore Vittorio Moretti (nella foto accanto circondato dalle figlie Valentina, Carmen, Francesca), neo Cavaliere del Lavoro per meriti acquisiti di imprenditore lungimirante e dal profondo attaccamento alla terra.
Allora, dottor Tuzzi, c’è da preoccuparsi?
La risposta del top manager è ferma, ma serena: “Non direi. Le nostre spedizioni di vino procedono regolarmente, tutte già assegnate e l’ospitalità, sia a L’Albereta Relais & Chateaux di Erbusco, sia a L’Andana in Toscana, registra livelli di occupazione molto soddisfacenti. Quanto alle costruzioni, il lavoro non manca. Anzi, non più tardi di qualche mese fa abbiamo consegnato e inaugurato la 350ma cantina firmata da Terra Moretti Costruzioni, tra le prime tre del settore in Italia”.
Dunque, affari a gonfie vele?
“Diciamo che lo scorso anno, per la prima volta dalla costituzione della Holding, il consolidato ha superato quota 200 milioni, attestandosi a 212 milioni di euro. È un traguardo che ci rende orgogliosi del lavoro fatto e ci sprona a proseguire facendo sempre meglio”.
Fuori però gli umori sono i più vari, con tanti ni e no. Colpa dei dazi?
“La materia è delicata ed è giusto che se ne parli – sottolinea Tuzzi -. Detto ciò, ipotizzare che l’eventuale introduzione di nuovi dazi, qualora fossero confermati, possa alterare in modo significativo i fondamentali del commercio appare, al momento, una valutazione prematura. Basti dire che le tariffe doganali, pur essendo oggetto di studio in economia, rappresentano una costante negli interscambi internazionali: ci sono, ci saranno e vanno considerate per quello che sono, anche in relazione al peso che l’export ha sui conti dell’impresa”.
Una questione di equilibri. Nel vostro caso?
“Su un totale prodotto di circa 11,5 milioni di bottiglie, l’export extra Ue è marginale per quanto riguarda i vini Franciacorta di Bellavista, di Contadi Castali e dei rossi toscani di Petra, Teruzzi e la Badiola. Per Sella e Mosca in Sardegna – 520 ettari di vigneti a corpo unico – la situazione è più complessa, ma il piano di ristrutturazione avviato dopo l’acquisizione della tenuta nel 2016, procede come da programma. A oggi, oltre la metà dei nostri vigneti è stata riconvertita. Abbiamo ottenuto la certificazione Equalitas e siamo impegnati nella definizione di un vero e proprio Metodo Terra Moretti per la gestione della campagna e della cantina, sia in Sardegna che nelle altre regioni dove siamo presenti con nostre attività produttive.
Il Metodo Terra Moretti, di che si tratta?
“È un approccio che pone al centro la sostenibilità ambientale, economica e sociale, e considera la biodiversità un fattore essenziale per la tutela del territorio e la qualità del prodotto. Tenuto conto che al cuore di questo sistema ci sono le persone che lavorano con noi, con il loro valore e sapere che si tramette di generazione in generazione, con le quali condividiamo competenze e futuro aziendale. È su queste basi che poggia la nostra progettualità di fare impresa, al di là dei dazi”.
Progettualità che per stare a Sella & Mosca – 30 milioni di euro di fatturato, quasi il doppio rispetto ai 18 milioni del 2016 – assume un significato particolare con la scelta che a suo tempo fece Vittorio Moretti di aprire le porte della Holding al fondo cinese Nuo Capital, cedendo loro il 30% della proprietà del gruppo. Una scelta rivelatasi strategica e che ha segnato l’inizio di una nuova fase di sviluppo e consolidamento del gruppo Terra Moretti.
Di quel sodalizio, il Ceo Tuzzi ne parla in termini positivi, definendolo “fase di trasformazione significativa, resa possibile proprio dalla presenza di un partner che ha portato nuove idee, progetti di intervento e facilitato una gestione d’impresa più disciplinata e strutturata”. Nei fatti, creando opportunità che hanno poi permesso a Tuzzi, con il suo ingresso in Holding Terra Moretti nel 2020, di conseguire obiettivi ambiziosi del suo mandato. Vale a dire la trasformazione dell’assetto manageriale, il sostegno al passaggio generazionale e la chiusura anticipata del rapporto con il fondo, conclusosi nel 2023, ben prima della scadenza prevista originariamente. Consentendo in tal modo alla famiglia Moretti di tornare al pieno controllo del gruppo.
La doccia fredda che non ti aspetti
Dunque, anni di attività coincisi con la sciagurata tragedia sanitaria del Covid. Al che viene spontaneo allo scrivente di chiedere all’interlocutore, se mai dietro il successo conseguito, suo e della proprietà, ci sia un qualcosa di particolare, una parola d’ordine, una sorta di segreto che abbia facilitato la crescita del gruppo.
“La devo deludere. Non esiste nessun segreto – taglia corto Tuzzi -. Per fare impresa servono idee chiare, programmi solidi, credibilità e tanta voglia di rimboccarsi le maniche. Sono requisiti antichi, ma restano alla base di tutto. Senza, nessun ti ascolta e non si va da nessuna parte. Il mio arrivo a Erbusco è coinciso con un momento molto difficile per il Paese, condizionato com’era dalla pandemia sanitaria. Sicché, accettando la proposta di Vittorio Moretti, non nascondo di dire che il mio primo impatto è stato come fare una doccia fredda che non ti aspetti, come quando ti mancano i punti di riferimento e l’incertezza su dove e come iniziare prende il sopravvento. Una sensazione che non ti aspetti, appunto, dura un attimo e superato il quale ti rendi conto che le cose da fare sono tante, tutte importanti”.
L’elenco delle cose da fare è piuttosto lungo, che però Tuzzi sintetizza in tre soli punti. Su tutti la questione del passaggio generazionale in seno alla proprietà, con le tre figlie del fondatore – Carmen, Francesca e Valentina – che oggi siedono nel CdA come vicepresidenti e ricoprono responsabilità di vertice in tutte le aree di competenza: ospitalità, vino, costruzioni. Centrale, poi, l’adozione di un organigramma di manageralizzazione, un brutto termine che spiega bene l’inserimento di figure direttive in aree che prima facevano capo direttamente al presidente Vittorio Moretti.
Terzo, ma non ultimo, la valorizzazione delle risorse umane in capo al progetto Generazioni & Futuro, “pensato per costruire un ponte tra l’esperienza consolidata e le nuove competenze, favorendo l’inserimento e la crescita professionale delle giovani generazioni all’interno del gruppo, attraverso percorsi di formazione e responsabilizzazione diffusa, istituendo corsi specialistici in tutte le discipline d’attività. Persino lezioni di inglese per il personale che lavora in vigna”.
HTM, gruppo da 212 mln di € e 350 cantine firmate dal neo CdL Vittorio Moretti
C’è tutto questo nel gruppo HTM che coinvolge al momento 817 dipendenti, con il settore vitivinicolo forte di 1.160 ettari di vigneti, su un totale di 2.100. L’ospitalità con l’Andana in Toscana e l’Albereta di Erbusco (20 milioni di euro) che dalla sua nascita e per vent’anni ha visto ai fornelli l’indimenticabile genio della cucina italiana, il Maestro cuoco Gualtiero Marchesi: ora la fiducia è riposta alla cura di Alberto Quadrio, un giovane artista di cucina che ha il dono di combinare il vino a piatti di primavera stupefacenti. Infine, le costruzioni (90,5 milioni), che hanno dato il via a tutto e che ora festeggiano il primato di 350 cantine progettate, realizzate e consegnate.
Insomma, un lungo percorso ricco di prospettive, con un 2025 che meglio non poteva essere per Vittorio Moretti. Che lo scorso 2 giugno, Festa della Repubblica, su proposta dei ministri delle Imprese Adolfo Urso e dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, è stato chiamato dal Quirinale a far parte della squadra di 25 imprenditori, a cui il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella consegnerà l’onorificenza di Cavaliere del Lavoro. Per avere “attraverso lo sviluppo d’impresa, contribuito alla crescita economica e sociale e all’innovazione del Paese”.
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