Incassato il via libera alla riforma della Politica agricola comunitaria (Pac) fino al 2020, i titolari di imprese agricole e zootecniche italiane guardano con attenzione e giusto interesse anche ai 10,5 miliardi di euro stanziati per lo Sviluppo rurale. E chiedono di sapere come verranno gestiti. Anzi, più che chiedere, loro suggeriscono come vorrebbero fossero gestiti.
Lo fanno sapere rispondendo a una serie di domande postate sul sito di Fieragricola (www.fieragricola.it), la manifestazione dedicata al settore primario in programma a Veronafiere il prossimo febbraio, che il direttore generale Giovanni Mantovani definisce <la rassegna più rappresentativa dell’agricoltura, punto di riferimento per espositori e visitatori, ma anche capace di catalizzare l’opinione degli imprenditori agricoli e strumento efficace per trasmettere le istanze del settore alle istituzioni>.
A conferma di ciò ci sono, appunto, le risposte pervenute al sito da 4.200 operatori per il 58% del Nord, il 27% del Centro e il restante 15% del Sud e isole: risposte da cui emerge il bisogno di “una maggiore organizzazione per aree omogenee che consenta al comparto primario un reale presidio del territorio e una migliore tutela delle produzioni made in Italy”, brand considerato “veicolo privilegiato per sostenere l’economia del Paese”.
Tra le domande più interessanti, la prima riguarda la destinazione che, secondo gli operatori, dovrebbero avere le risorse non utilizzate, visto che per la prima volta i fondi residui non faranno ritorno a Bruxelles.
Ebbene, il 99% degli imprenditori è dell’avviso che debbano «essere destinate alle regioni che hanno maggiori capacità di spesa agricola», mentre solo l’1% ritiene meglio affidare tali disponibilità all’autorità centrale di Governo.
La seconda domanda cerca di sapere a chi spetta l’elaborazione dei prossimi Piani di Sviluppo rurale (Psr)?, oggi di pertinenza di ciascuna regione e province autonome di Trento e Bolzano. Anche in questo caso la risposta è plebiscitaria: il 98% è favorevole a mantenere l’autonomia delle regioni, uniformando tuttavia i Psr in base a produzioni omogenee; il restante 2% vorrebbe invece definire i Psr per aree territoriali omogenee, limitando così l’intervento decisionale delle stesse Regioni.
Infine la terza domanda è relativa al possibile trasferimento, fino al 15%, della dotazione nazionale dai pagamenti diretti (1° pilastro) allo sviluppo rurale (2° pilastro). Qui le risposte sono state più equilibrate: il 32% vorrebbe lasciare tutto com’è ora; il 35% dirotterebbe una parte delle risorse dal 1° al 2° pilastro, mentre il 33% è favorevole a spostare anche il 15% dei fondi dagli aiuti diretti allo sviluppo rurale.
Commentando i dati del sondaggio, il presidente della Commissione agricoltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro, si è detto convinto che «gli agricoltori saranno contenti di questa riforma>, aggiungendo che <anche negli Stati membri che hanno una articolazione regionale, come l’Italia, non esisterà più il disimpegno (in parole povere, la restituzione degli aiuti a Bruxelles, ndr), in quanto i fondi non utilizzati confluiranno a Roma, che li ridistribuirà alle regioni più virtuose».