Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Pinot grigio … e poi vini spumanti e rossi abboccati. Sono questi i principali vini che vanno per la maggiore in questo momento negli Stati Uniti, principale mercato di consumo (in valore) per l’Italia, il cui export nel primo bimestre di quest’anno è tornato a crescere. Ma è la Francia che fa boom con un +341,4 per cento…
… Dopo il
rallentamento verificatosi nella seconda parte dello scorso anno, a gennaio e
febbraio 2013 (rispetto allo stesso bimestre 2012) le esportazioni italiane sono aumentate del 10,7% in quantità (378mila ettolitri) e del 14,2% in
valore (186 milioni di $). Dati che evidenziano un lieve aumento del prezzo
medio (da 5 a
5,2 dollari al litro) e una tendenza in atto che lascia
intravedere una domanda di beni di largo consumo più vivace rispetto al recente
passato.
Certo è che il passo avanti del vino made
in Italy – come rileva il rapporto dell’Iwfi di New York – conferma la
posizione di vertice da tempo acquisita nella scala delle preferenze del
consumatore americano. Non solo. Anche le quantità infondono fiducia, stante un
ulteriore passo di avvicinamento al vertice, tuttora in mani australiane con
390mila ettolitri (24.9% di quota) ma con introiti di “appena” 88 milioni di
dollari, per effetto di un prezzo medio (3,4 $) nettamente più basso di quello
italiano. Un contrasto curioso svelato dal fatto che l’Italia tende a esportare
sempre più vino in bottiglia.
L’esatto contrario di quanto fanno
l’Australia, il Cile, l’Argentina che esportano più del 50% dei loro vini in
bulk e cisterne. Ma nonostante i prezzi più a buon mercato, la performance non
dà i risultati sperati, visto che non sono solo gli australiani a perdere
terreno, ma anche i vini made in Cile (287mila ettolitri per 52,7 milioni di $,
in flessione del 10,7% in volume e del 5% in valore). Per non dire
dell’Argentina che nel bimestre gennaio-febbraio ha esportato 263mila ettolitri
per 50 milioni di $, in calo del 36 per cento in ambedue le sezioni.
Tutto questo, però, dice poco rispetto a
ciò che, a parere di chi scrive, stanno facendo i vignerons francesi. I quali,
nonostante l’allure dei loro grandi chateaux, qualche problema da crisi lo
hanno comunque accusato sui mercati internazionali. Basti dire del crollo del
30-40% delle quotazioni dei loro vini in Cina, causati da una perdita di
interesse (ma anche da speculazione) per gli acquisti fatti sul canale dell’en primeur . Ma non si sono fatti
prendere dal panico, considerato che nel 2012 proprio in Cina sono stati gli unici ad
avere performato più che bene, con 1,3 milioni di ettolitri (il 53% del totale
importazioni cinesi), a fronte di un export italiano fermo da anni a 200mila
ettolitri.
Che i francesi non stiano con le mani in mano lo scopriamo proprio considerando quanto accade sul mercato americano, dove i vignerons hanno messo da parte l’orgoglio nazionale e avviato un processo di ricalibratura degli obiettivi, che ha comportato una modifica delle strategie commerciali e apertura
all'export di vino sfusi. Una scelta che si è rivelata immediatamente
vincente, visto il +341,4% conseguito nel bimestre considerato sui volumi
esportati (104mila ettolitri) e il +47% sul
valore (98 milioni di $) con un prezzo medio stabile intorno a 9 dollari. Ora,
se tanto dà tanto, c’è da giurare che questo cambio di rotta francese in terra
americana, potrebbe essere replicato anche ad altri mercati di esportazione.
Non è ancora una certezza, ma gli italiani farebbero bene a restare vigili, studiare nuove mosse ed evitare di farsi prendere alla sprovvista.