Il ministro dei Beni culturali e del #turismo Dario Franceschini starà facendo sangue amaro per trovare una soluzione decente che permetta di arginare il degrado della rete museale e archeologica nazionale. Degrado che nei siti a cielo aperto sconta le bizze del meteo e l’incuria, che in altri casi è dovuto a restauri mai fatti per tempo, e in altri ancora subisce l’inettitudine di quanti pur chiamati a gestire un centro di arte e cultura, nel momento dell’urgenza adottano soluzioni apparentemente semplici, ma assai dannose all’immagine del Paese.
L’ultimo knock-out il ministro deve averlo accusato qualche giorno fa, alla notizia che gli scavi di #Ercolano (400mila visitatori l’anno) sono rimasti chiusi per l’assenza di un dipendente “caduto” malato, su 36 addetti che il sito dispone normalmente. Con il Soprintendente agli Scavi di #Pompei, Ercolano e Stabia che, stando alla cronaca, si è detto “amareggiato” per l’accaduto, ma è apparso sollevato dal fatto che il blocco ha colpito “solo un centinaio di visitatori”. Cinismo allo stato puro che rivela comunque mancanza di rispetto per i visitatori in quanto tali e carenza di cultura economica in quanti sono chiamati a gestire e promuovere la storia, l’arte, il sapere e, se permettete, ci metto anche la cucina del paese Italia.
Il Soprintendente, ancorché “amareggiato” nei confronti dei mancati ospiti che reclamavano di voler entrare, avrebbe giustificato la decisione adottata sostenendo che quanto accaduto rientra nella “criticità della situazione che da tempo grava sui siti archeologici vesuviani”. Spiegando anche che il sito di Ercolano dispone di tre ingressi, per cui mancando un dipendente la normale turnazione ne avrebbe patito. Quindi meglio chiudere tutto. E chissenefrega dei visitatori delusi giunti chissà da dove.
Se la vera causa è questa, immagino che il Soprintendente non sia stato minimamente sfiorato da una soluzione alternativa, che pure avrebbe dovuto prevedere, stante la cennata “criticità” già nota da tempo. Sarebbe bastato, chessò, chiudere uno dei tre ingressi disponibili (perché poi tre, quando basterebbe averne uno solo per un miglior controllo dei flussi di entrata e uscita e risparmio economico?) per dare la possibilità ai turisti di accedere alle antiche vestigia di una civiltà che è stata sfortunata per come è finita, ma certamente era molto avanti di testa. Quella “testa” che nella società odierna della globalità e della condivisione a quanto pare sta diventando merce sempre più rara.
La virtù organizzativa inglese e i casi Stonehenge e Terme Romane di Bath
La soluzione adottata a Ercolano ancorché offensiva per i visitatori, la considero penalizzante ai fini di una corretta gestione aziendale. Lo dico perché mi è capitato di leggerla al rientro da un breve viaggio in Inghilterra, e quindi metterla a confronto con quanto ho potuto constatare visitando due siti archeologici inglesi minimamente paragonabili a Ercolano e Pompei, ma dalla storia ugualmente affascinante. O meglio, dalla leggenda che gli inglesi hanno sapientemente costruito tutt’intorno al sito preistorico di #Stonehenge e brillantemente organizzato per comunicare le vicende delle #Terme Romane di #Bath.
Dichiarato dall’Unesco “patrimonio dell’umanità”, il complesso megalitico di Stonehenge (foto accanto) risale a 4-5mila anni fa e sorge nel bel mezzo di una vasta area di basse colline della campagna dello Wiltshire, a meno di due ore di macchina, direzione Ovest, da Londra: è composto da due anelli concentrici di pietre gigantesche alte fino a otto-dieci metri, alcune sormontate da altri massi coricati a mo’ di Dolmen, come se ne trovano di più modeste dimensioni in Puglia. Ancora oggi non è certo quale fosse lo scopo per cui il sito venne eretto. Alcuni pensano si trattasse di un tempio dedicato agli dei, altri pensano fosse un osservatorio astronomico o un calendario preistorico, per via del modo in cui le pietre sono allineate rispetto al levare del sole e della luna.
Qualunque cosa fosse, oggi Stonehenge è uno dei siti museali più visitati al mondo: si calcola siano oltre un milione le persone che nell’arco dell’anno giungono fin qui per il gusto di conoscere e sapere. Cosa si apprende è abbastanza banale, nel senso che il museo racconta – e non può fare diversamente – la storia di quella che si suppone poteva essere la vita di quelle antiche civiltà.
Il fatto è che a Stonehenge tutto è raccontato con ordine e semplicità, senza sovrapposizioni, interferenze esterne e interlocutori abusivi. La stessa organizzazione tecnica è esemplare, dal parcheggio obbligatorio per auto e bus (in area recintata al costo di 5 sterline a veicolo) ai servizi bar e ristorazione e all’unico punto vendita di souvenir autorizzato e collocati e all’interno di una struttura fissa adibita allo scopo, la cui gestione è affidata una società convenzionata con le autorità pubbliche, mentre la biglietteria (18 sterline, ingresso con auricolare) fa capo direttamente al ministero di competenza. E guai a seminare rifiuti fuori dai cestini: il famoso Bob è pronto a intervenire nella difesa del territorio, comminando se è il caso pesanti multe.
Che non si tratti di un caso sporadico lo si intuisce arrivando in un altro sito museale da non perdere, anch’esso riconosciuto dall’Unesco quale “patrimonio dell’umanità”: si tratta di Bath, elegante città di 80mila abitanti dai bei palazzi georgiani e un’imponente Cattedrale gotica, adagiata sulle colline attraversate dal fiume Avon nella Contea del Somerset, verso la Cornovaglia.
Qui la scrittrice Jane Austen ha soggiornato con la famiglia nei primi anni dell’800 e lavorato ad alcuni suoi romanzi. Qui le legioni romane vi arrivarono molto prima, intorno al 40 d.C. in piena fase espansiva dell’impero verso le terre del nord: vi si stabilirono dopo avere scoperto l’esistenza di un clima salubre e acque sulfuree, tuttora le uniche di tutta la Gran Bretagna e tuttora sfruttate per la cura della persona da centinaia di migliaia di turisti e pazienti che necessitano di tali acque.
Le Terme romane in quanto tale, costruite nel 43, sarebbero anch’esse funzionanti, ma il raziocinio inglese le ha sapientemente trasformate in polo museale, oggi visitato da più di mezzo milione di persone l’anno (ingresso con auricolare 14 sterline), con la storia, gli usi e i costumi dei romani che non ho mai sentito decantare così tanto bene nei musei del mio paese.
Signor ministro Franceschini, è triste sentire e vedere Pompei ed Ercolano che cadono a pezzi, ma è un fatto che con o senza spending review c’è modo e possibilità di invertire la rotta. Le procedure corrette esistono e altri paesi le applicano. Basterebbe vedere cosa fanno gli altri. Per questo signor ministro, attraverso “TerraNostra”, le chiedo il permesso di darle un consiglio: mandi qualche valente osservatore in Inghilterra a studiare cosa si deve fare e non fare, per fare funzionare come si deve un sito archeologico.
Ah, dimenticavo: Stonehenge e Terme Romane di Bath chiudono i bilanci in attivo, occupano qualche centinaia di persone, tanti sono pure già in pensione e certamente qualcuno si ammala durante l’anno. Eppure i due siti non hanno mai chiuso perché uno “cade” ammalato.
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