di Giulia Maria Basile
Quella di Gualtiero Marchesi è una storia che merita di essere raccontata. Se oggi spopolano corsi e programmi tv dedicati alla cucina, non si può non conoscere la figura che più di ogni altra in Italia ha rivoluzionato il modo di cucinare stesso. Ci ha pensato il regista Maurizio Gigola, con il docufilm “Gualtiero Marchesi, The Great Italian”, un omaggio che celebra l’innovazione, la filosofia, l’insegnamento di un cuoco che è stato innanzitutto un artista.
Nato due anni fa, il progetto convinse Marchesi, da sempre impegnato a divulgare la cultura gastronomica italiana e in prima linea per plasmare una nuova visione dell’alta cucina. Così, dopo la presentazione della prima versione non definitiva a Cannes e a New York nel 2017, cui assistette lo stesso cuoco – non “lo chef”, epiteto che non ha mai amato –, a tre mesi dalla sua scomparsa è stata Milano a ospitare il lancio ufficiale della pellicola.
L’anteprima si è tenuta il 19 marzo, giorno del suo compleanno, cui è seguita la proiezione al pubblico il 20 e 21 per un primo round, che riprenderà dal 26 marzo al 1° aprile presso lo Spazio Oberdan della Fondazione Cineteca Italiana.
Dal lavoro di Gigola (fondatore di Food&Media International, per cui ha all’attivo numerose produzioni dedicate all’enogastronomia) viene fuori un ritratto dell’infinita passione di Marchesi per l’arte e la musica, e dei princìpi che hanno guidato la sua opera: lo studio delle tradizioni e delle tecniche, la conoscenza delle materie prime, la valorizzazione degli ingredienti. E ancora, la presentazione estetica del piatto, la cura dei particolari in cucina e in sala, il rapporto con il cliente. Ma al contempo l’immaginazione, il suo andare controcorrente la vulgata comune e l’attualizzare quella stessa tradizione con semplicità ed efficacia, come ha fatto con il Raviolo aperto (1982), l’Insalata di spaghetti al caviale e il Riso oro e zafferano, piatti che hanno segnato il corso della cucina italiana.
Per Marchesi – e il docufilm lo sviscera nei dettagli – la materia non andava trasformata, ma proposta nella sua autenticità; il suo tocco distintivo, poi, era di farlo attraverso un approccio creativo e artistico. Dal Dripping di pesce (2004) in omaggio a Jackson Pollock alle Quattro paste (2000) ispirato dalla Marilyn Monroe di Andy Warhol, è evidente quanto l’arte abbia influito sui suoi piatti, divenuti opere d’arte di un immaginario nuovo. Senza dimenticare la raffinatezza della sua espressione artistica espressa in Riso, oro e zafferano (1981), simbolo dell’amore per la sua Milano in cui si incontrano il risotto allo zafferano e, metaforicamente, la Madonnina dorata.
Grande valore ha avuto per lui l’insegnamento, sia in quanto maestro sia quando era lui ad apprendere.
A questo proposito, il regista parte da lontano: dai primi passi nell’albergo ristorante Al Mercato dei genitori alla lunga e costruttiva esperienza in Francia dai fratelli Troisgros, fino all’apertura nel 1977 del suo Bonvesin de la Riva, alla Scuola internazionale di cucina Alma di Parma di cui è stato Rettore fino a poche settimane prima della sua scomparsa, all’Accademia e alla Fondazione Marchesi. Un iter storico arricchito dalle testimonianze dei suoi molti allievi: da Davide Oldani a Enrico Crippa, da Carlo Cracco ad Andrea Berton, da Pietro Leeman a Daniel Canzian.
Il tutto accompagnato da una colonna sonora composta ed eseguita dal violoncellista Giovanni Sollima.
Un docufilm che è un viaggio nei luoghi cari al Maestro-Compositore, come soleva definirsi ai tanti allievi. Ai quali sollecitava dire che “nella vita bisogna tuffarsi: prima si impara a tuffarsi e solo dopo si può imparare a nuotare”.
L’opera, realizzata da Food&Media International e curata dalla Fondazione Marchesi, è stata possibile con la partecipazione di diversi sponsor – tra cui grandi marchi del food&beverage come Ferrari spumante, illy caffè, Parmigiano reggiano, San Pellegrino – dopo la presentazione a Milano proseguirà in capitali e grandi città d’Europa, USA, Canada, e paesi dell’Estremo oriente. D’altra parte, l’arte di Marchesi non ha influenzato soltanto la ristorazione italiana, ma di certo ne è stata ambasciatrice nell’arco di tutta la sua carriera.
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