Arriva VinItaly e, come sempre accade in questa circostanza, un fiume di notizie che sanno di vino e dintorni inonda testate e reti mediatiche. Non che in altri periodi ciò non succeda, ma è un fatto che con l’approssimarsi della grande kermesse di Veronafiere (nella foto, il presidente Maurizio Danese) il fenomeno raggiunge valori parossistici.
È certo un fenomeno positivo, che sottintende l’intenzione di ciascun espositore (quest’anno oltre 4mila provenienti da ogni dove) di far sapere a un’ampia platea ciò che ognuno di essi ha da presentare: il lancio di un nuovo vino, il restyling di un’etichetta, un accordo commerciale, l’acquisto di vigneti, la nascita di una cantina, la firma di una joint venture con un partner estero ….
Con quali ritorni, questo è tutto da scoprire a consuntivo di un Salone fieristico – quest’anno dal 15 al 18 aprile – che fa di Verona l’ombelico del mondo all’insegna di Bacco. Però il solo fatto di esserci dice molto del parallelismo esistente tra il fare un prodotto e mostrarlo al mercato, tra produrre vino e comunicarne l’esistenza. E questo, si suppone con il miglior rapporto tra costi e benefici.
Sarà per questo che a VinItaly, accanto a grandi produttori, marchi di respiro internazionale, t’imbatti in una miriade di piccoli e medi vignaioli che, fuori dal contesto fieristico, hanno minori probabilità per far parlare di sé e dei loro vini.
Certo, la storia racconta che non sempre è stato così. Ci sono stati tempi, nemmeno troppo lontani, in cui far parlare i produttori del loro vino e, ancor più, delle loro quadrature commerciali, era un’opzione giornalistica velleitaria. Con la prevalenza di vignaioli ostili ad aprire le porte delle proprie cantine a cronisti ficcanasi e rompiscatole.
Oggi non è più così: ficcanasi e rompiscatole ci sono sempre, ma il mondo del vino è tutt’altra cosa rispetto al passato. Il miglioramento, sotto ogni profilo, c’è stato e non può certo dirsi compiuto, come si evince da iniziative e novità che alcune aziende prese qui e là raccontano e che “TerraNostra” rilancia come i “Vini della Riscossa”.
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Stilema (Mastroberardino), la riscoperta dell’origine
È il caso dell’azienda Mastroberardino di Atripalda, marchio carico di storia come pochi in Italia, che con il nuovo progetto “Stilema” ribadisce la scelta di vini tipici del territorio alle falde del Vesuvio.
Fondata dall’omonima famiglia nei primi decenni del XIX° secolo e propugnatrice di vini che hanno dettato la linea a una enologia di eccellenza, Mastroberardino al giro di boa dei duecento anni di attività conferma l’unicità e la bontà di bianchi come il Fiano, il Greco e rossi come il Taurasi: quest’ultimo, primo Docg del Mezzogiorno.
Si sa che le denominazioni d’origine regolano e delimitano l’area di produzione. E si sa che il tratto distintivo di un vino spetta darlo a chi quel prodotto lo produce. Cosa che qualunque vignaiolo che si rispetti tiene comunque e sempre in debita considerazione: l’azienda campana è tra questi, in quanto sostenitrice di una politica fatta di ricerca e selezione viticola autoctona.
Politica che più di recente altri interppreti locali hanno ritenuto opportuno diversificare, mutuando logiche produttive d’importazione con vini al palato più accattivanti, morbidi, comunemente più ruffiani.
Una scelta che non è nel DNA della cantina di Atripalda (250 ettari, 1,8 milioni di bottiglie per il 30% esportate) che, nel definire il nuovo progetto di rilancio enologico aziendale, non ha esitato a far valere l’opzione tradizione. È in questo contesto che nasce e si sviluppa il marchio “Stilema”, il cui battesimo ufficiale avverrà in concomitanza di VinItaly 2018.
A preannunciarlo è stato lo stesso titolare Pietro Mastroberardino (foto), già presidente Federvini, che nel sottolineare la necessità di affiancare all’attuale produzione una nuova linea top, assicura che trattasi di vini dalla personalità “graffiante” tipica dei vini dell’Irpinia.
Sontium (Lorenzon), l’omaggio al fiume sacro alla Patria
Diverso, ma con finalità simili al caso precedente, l’approccio produttivo della Cantina Lorenzon di San Canzian d’Isonzo, azienda in capo all’omonima famiglia e di più recente costituzione, che a VinItaly approda con una nuova etichetta.
Si tratta di Sontium, nome latino del fiume Isonzo e vino ottenuto da una selezione di uve di vecchi vitigni a bacca bianca tipici friulani: Pinot, Friulano, Malvasia e Traminer aromatico. A detta di accorti degustatori, Sontium ha carte in regola per stupire qualsivoglia consumatore, avendo già stupito il numero uno dei sommelier di Lombardia, Fiorenzo Detti, che nella degustazione che solitamente precede il lancio vero e proprio, l’ha definito “elegante allo stato puro”.
Giudizio tecnico che certamente corrobora quello personalizzato del titolare della cantina Enzo Lorenzon (al centro della foto, con i figli Nicola a Sx e Davide) per il quale Sontium “è la risposta della mia famiglia a una congiuntura dura, anzi durissima”. Con epilogo a quanto pare vincente.
Intervenuto al convegno sui vini italiani nel mercato globale, tenutosi di recente nella nuova sede della Fondazione Feltrinelli a Milano, questo vignaiolo di lungo corso non ha esitato a parlare di opportunità e di come egli e i suoi due figli, Davide e Nicola che lo affiancano in azienda, hanno affrontato la crisi che “ci ha colti in un momento piuttosto delicato”.
Il riferimento è agli importanti investimenti effettuati nei primi anni del Duemila, pensati e finalizzati a rinnovare la cantina, nonché ampliare la tenuta agricola, oggi con 70 ettari di vigneti tra proprietà e parte in affitto.
Ebbene, con le rate dei prestiti da onorare e i consumi di vino in stand by, i Lorenzon si sono più volte posti la domanda se era il caso di continuare compattando le proprie forze, oppure cercare un partner finanziario. O, addirittura, passare la mano. In tutti i casi una scelta non facile per una famiglia che da cinquanta e passa anni ha lavorato sodo la propria vigna.
Ha prevalso la prima ipotesi, che si è tradotta in riorganizzazione del ciclo produttivo, messa a punto di nuove linee di vini tra cui Sontium è la punta massima, apertura all’export, riposizionamento del marchio “i Feudi di Romans” e rilancio sul mercato domestico.
Il risultato è nelle parole del vignaiolo Lorenzon che, nel chiudere il proprio intervento, ha fatto riferimento alle vendite degli ultimi due anni in Italia cresciute a due cifre e che l’export oggi pesa per il 35%, su un totale vino prodotto prossimo a 500mila bottiglie. Lasciando peraltro intuire che con Sontium la crisi dovrebbe essere definitivamente alle spalle.
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Le inchieste di “TerraNostra”: I Vini della Riscossa/1
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