“In Italia c’è un ministero, quello dell’Agricoltura, che non dovrebbe esserci più da un pezzo. Ma visto che c’è, uno pensa che dovrebbe servire a qualcosa; e invece no, continua a non far nulla. Ma lo sa che sulla questione del prezzo del latte, Roma non ha mosso un dito, e se non ci fosse stato il mio assessorato, con la cooperazione e i sindacati agricoli ci saremmo trovati con quintali di latte versato per strada. Alla faccia della lotta allo spreco, di cui quel ministero si è reso paladino con Expo 2015”.
L’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava (foto accanto), va giù duro contro il ministero guidato da Maurizio Martina, al quale imputa mancanza di impegno nell’affrontare importanti questioni di politica agricola aperti sia a livello nazionale che europeo. A cominciare dal problema del prezzo del latte, settore in cui la Lombardia primeggia con oltre il 40% della produzione nazionale.
La questione, tornata prepotentemente alla ribalta alla vigilia di Pasqua, ha infatti acuito i contrasti tra allevatori e industrie di trasformazione, con l’assessore che ha preso le difese dei primi. Innervosendo persino il top manager di una importante multinazionale del settore, che lo ha invitato a occuparsi d’altro.
Un invito pesante, assessore Fava. Ma la prego, mi dica piuttosto come finirà questo braccio di ferro tra produttori e trasformatori e, soprattutto, cosa vede in fondo al tunnel?
Vedo che quell’Europa che avrebbe dovuto garantire un atterraggio morbido dalla fine del regime delle quote latte ha, per l’ennesima volta, miseramente fallito, mettendo in difficoltà un sistema che ha caratteristiche differenti nella geografia dell’Ue a 28. Pensare di sostenere in maniera omogenea o con le medesime misure chi produce molto al di sopra del proprio fabbisogno e chi invece non è autosufficiente dal punto di vista della sovranità alimentare, è un errore imperdonabile.
Quanto all’invito, non entro nel merito della maleducazione di chi ha rimediato una meschina figura su Facebook. Mi limito a prendere atto di un atteggiamento suicida dell’industria di trasformazione: oggi sono convinti di mostrare una supremazia nei confronti della stalle della Macroregione agricola del Nord snobbando il latte italiano, forse perché con i sistemi inesistenti di etichettatura qualcuno compie giochi di prestigio come latte in polvere.
Intende dire che le parti si sono talmente irrigidite sulle proprie posizioni da annullare un pur minimo margine di dialogo? Allora bene ha fatto il ministero dell’Agricoltura a intervenire…
Non siamo in Corea del Nord, se c’è la volontà di raggiungere accordi per rilanciare la filiera lattiero casearia e i prodotti made in Italy, nulla è impossibile. Però, a differenza del ministro Martina, io rispetto le istituzioni, anche quelle abrogate dalla volontà popolare.
Quando a luglio dello scorso anno il ministro Martina ha scippato il ‘tavolo del latte’ alla Lombardia, proprio quando le controparti erano in procinto di accordarsi sull’indicizzazione del prezzo, io non ho fatto nulla per sabotare il tavolo ministeriale: definire il prezzo del latte è in teoria di stanza a Roma, ma è da mesi che non se ne ha più notizia, e la tanto sbandierata tabella di indicizzazione non è mai stata applicata.
Non c’è solo il latte che la divide da Roma. La Lombardia, in quanto regione più agricola d’Italia, vanta un ricco ventaglio di prodotti tipici, Dop e Igp. Prodotti che da più parti si dice sono sempre più a rischio di fronte all’avanzare di importazioni selvagge e contraffatte.
A rischiare non sono solo i prodotti lombardi, ma di tutta Italia. Il problema dell’importazione dai paesi terzi non è solo legato all’origine, che a quanto sembra non è affatto controllata, nonostante i tanto sbandierati controlli da parte del ministero, ma è anche una questione di salute.
Se importiamo olio d’oliva da paesi dove l’utilizzo di pesticidi vietati in Europa è ampiamente ammesso, quello che mi preoccupa non è più una questione di italian sounding, ma di tutela della salute dei cittadini, dei consumatori. Che cosa possiamo fare? Beh, cominciamo a chiederci qual è il peso che l’Italia, grande produttore di pregiati extravergine d’oliva, ha in seno al Comitato olivicolo internazionale. A me pare che il Mipaaf conti meno di zero. Sembra un’offesa, ma è una semplice constatazione.
Il problema è che in Europa comandano le lobby, a partire da multinazionali che non hanno alcun interesse a tracciare in maniera trasparente l’origine delle materie prime e dei processi di trasformazione. In questo scenario non certamente favorevole alla tutela del made in Italy, si deve aggiungere la più totale inconsistenza del governo italiano a Bruxelles, non soltanto in agricoltura, ma su tutti i fronti.
Almeno vorrà ammettere che in quanto al vino il governo si sta impegnando su più tavoli, a cominciare dalla promozione all’export. Si parla di nuove iniziative che forse verranno annunciate già da domani, in concomitanza di VinItaly che apre i battenti a Verona (10-13 aprile), che quest’anno taglia il traguardo dei 50 anni, e dove la Lombardia si presenta con una folta delegazione di produttori…
Si presenta con 200 espositori, mille etichette e tanti giovani ambasciatori e ambasciatrici del vino lombardo (nella foto, vigneti di Valtellina). Abbiamo numeri da primato non per quantità, ma per qualità di prodotto. Il 90% della produzione regionale è fatta di vini a marchio (Docg, Doc, Igp): una delle più alte, se non addirittura la più alta in Italia,e riconoscimenti come le 5 Star Wine, ottenuti alla vigilia di Vinitaly, sono la logica conseguenza del percorso di crescita che la Lombardia ha compiuto negli ultimi anni.
Sicuramente il settore registra una marginalità complessivamente migliore rispetto ad altri comparti agricoli, specie quello zootecnico messo alle corde. Tuttavia dobbiamo far conoscere di più il nostro vino e incrementare le esportazioni, gestendo direttamente i fondi dell’Ocm, come a più riprese hanno ribadito gli operatori.
La Lombardia per troppo tempo ha continuato a produrre quantità, accontentandosi del fatto che ad assorbirla fosse il mercato interno. Ma poi c’è da recuperare il tempo perduto in fatto di promozione all’export, sicché illudersi che una gestione centralizzata e ministeriale possa essere di maggiore aiuto alle imprese sarebbe un errore imperdonabile.
In questo senso la Regione da tre anni è impegnata a spingere sul pedale della promozione internazionale dei marchi territoriali e i risultati cominciano a vedersi. Il caso della Franciacorta è emblematico in tal senso.
Assessore Fava, possibile che non ci sia nulla che vada bene dell’operato del governo e, nella fattispecie, del ministero dell’Agricoltura, peraltro guidato da un lombardo Doc come Martina. A dividervi sono motivi reali o di partito?
Per certo non è una questione di pelle. A dire il vero, all’inizio avevo dato molta fiducia a un ministro lombardo. Tuttavia, la sua totale distanza dai problemi reali e l’assenza di proposte risolutive mi hanno fatto addirittura rimpiangere qualche ministro del Sud.