In occasione dell’ultimo VinItaly a Verona ho avuto uno scambio di opinioni con Riccardo Cotarella (foto) su alcune problematiche relative agli equilibri internazionali del settore vitivinicolo. Cotarella, enologo di fama mondiale nonché presidente dell’Associazione enologi italiani e coordinatore del Comitato scientifico di Padiglione Vino a #Expo2015, ha trasformato con grande maestria la conversazione in intervista, dove i ruoli professionali sono capovolti. L’intervista è pubblicata sul numero 4 ora disponibile del mensile dell’Aei alla vigilia dell’inaugurazione di Expo2015.
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di Riccardo Cotarella
<Che il vino sia una risorsa economica e sociale importante per il Paese è un fatto scontato anche per gli astemi, bontà loro. Qualcosa come dieci miliardi di euro di produzione lorda vendibile e un export che viaggia sui cinque miliardi di euro non sono noccioline. Detto questo, caro Riccardo, non vorrei deluderti se aggiungo che nel nostro Belpaese spesso si parla troppo e a sproposito di fatti marginali, mentre sovente si tralasciano cose importanti che favoriscono il fare impresa. Il che accade anche nella filiera del vino>.
Riferimenti particolari? <Quanti ne vuoi, potremmo stare qui fino a sera, mentre il vigneto Italia ogni anno che passa perde di peso specifico: quasi 10mila ettari in meno nell’ultima stagione; 120mila dal 2003 a oggi. Di questo passo …>.
Pungente e franco come sempre, il giornalista e scrittore Nicola Dante Basile non smentisce la fama che gli viene riconosciuta di osservatore e provocatore attento alle problematiche agroalimentare e vinicole in particolare del nostro Paese.
Premio Aei nel 1988, autore di diversi libri dedicati anche al vino, da quarant’anni firma di punta del Sole-24Ore e, ora, del blog “TerraNostra – ilsole24ore.com”, a Basile, che ho incontrato in un recente appuntamento dedicato all’ormai imminente Expo2015 in calendario a Milano dal 1° maggio al 31 ottobre, gli ho chiesto di spiegarci alcune cose che, dal suo punto di osservazione, l’Italia dovrebbe fare per sostenere un settore eccellente della tavola #madeinItaly, come il #vino. E lui, subito, di rimando: <Anche della perdita del peso specifico del vigneto Italia?>.
Già, cosa intendi per perdita di peso specifico?
Quello che è sotto gli occhi di tutti, ovvero il depauperamento della superficie viticola nazionale che da anni perde pezzi, mentre nuovi paesi avanzano. Faccio un solo esempio: la Cina, dove in tanti da casa nostra guardano come la nuova frontiera da conquistare e dove il patrimonio viticolo domestico cresce a tappe forzate: 10-15mila ettari in più all’anno che hanno portato la superficie totale a 570mila ettari. Di fatto, alle spalle dalla quota italiana. Ebbene, se i due trend – di crescita cinese e decrescita italiana – dovessero proseguire al ritmo attuale, fra tre massimo quattro anni le due curve finiranno per incrociarsi. Con la differenza che la traiettoria del paese asiatico continuerà ad avanzare e quella italica a regredire. Insomma, a breve potremmo assistere al sorpasso. E solo allora sentiremo suonare le sirene di quanti da noi, pensando di essere sempre i più bravi, non s’accorgono dei cambiamenti in atto oltre la punta del proprio naso.
Come e cosa si dovrebbe fare per evitare il peggio?
Rispondo con una vicenda ancora fresca d’inchiostro. La questione dei diritti d’impianto, per cui tre assessorati di numero per molti mesi hanno tenuto nel sacco l’Italia intera: hanno cioè bloccato il via libera alla trasferibilità e negoziazione dei diritti tra regioni. Un tale comportamento, non s’è capito se per testardaggine o corta visione d’analisi, ha rischiato di fare perdere quattrini ai vignaioli che intendevano cedere le opzioni sui vigneti e, dall’altro, ha messo a repentaglio l’opportunità dell’Italia di rimettere in circolo in altre aree gli stessi diritti d’impianto. Si tratta di quasi 50mila ettari, poco meno dell’8% dell’attuale superficie viticola nazionale.
Tutto ciò nonostante fosse ben noto che, scaduti i termini imposti dall’Unione europea, quei diritti sarebbero stati girati gratuitamente ad altri Paesi membri Ue. Per fortuna così non è andata, ma solo grazie all’intervento in extremis del ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina che, con un decreto governativo ad hoc, è riuscito a salvare la partita in zona Cesarini. Ora, dimmi tu se questo è un comportamento logico di un paese normale che aspira a restare al top tra le potenze vitivinicole nel mondo.
È però un fatto che il vino made in Italy ha qualità, originalità, immagine, insomma ha reputazione da vendere.
Concordo sulla reputazione. Come potrei non esserlo, visto che parliamo di un insieme di fattori essenziali per aspirare a fare il successo di un prodotto, di una marca, di un vino, appunto. Di questo bisogna essere riconoscenti ai vignaioli che lavorano in modo ottimale i vigneti; a quanti il vino made in Italy lo sanno promuovere e vendere; ma anche alla categoria che presiedi, agli enologi che personalmente ritengo siano artefici essenziali nell’esaltare e custodire la qualità che tutti sappiamo nasce sul campo.
Gioco in casa, perché per l’appunto volevo domandarti che peso ritieni abbiano avuto gli enologi nel processo evolutivo del sistema vino italiano; e quale ruolo essi potranno avere in futuro?
Non svelo alcun segreto nel dire che senza di loro l’enologia italiana non sarebbe andata da nessuna parte, non avrebbe cioè fatto i progressi che ha fatto. Non c’è bisogno di risalire alla nascita della Scuola di Enologia di Conegliano o a quella di Alba e altre ancora per testimoniare le prodezze compiute negli ultimi due secoli dagli enologi, avvalendosi dell’innovazione tecnologica che essi stessi hanno contribuito a mettere a punto. Un esempio per tutti sono le bizzarrie meteo della scorsa estate che hanno rischiato di compromettere la vendemmia. Eppure, sappiamo che non berremo più vini modesti, come accadeva quando il nettare di Bacco era ancora considerato un componente dell’alimentazione e, come tale, proposto quale commodity a basso valore aggiunto.
Mi chiedi poi qual potrà essere in futuro il loro ruolo. Beh, penso che la risposta stia nei fatti e, a costo di ripetermi, rispondo che la figura dell’enologo è centrale nel processo produttivo. Tanto più se si aspira a fare qualità, giacché sono dell’idea che il livello qualitativo di un vino è proporzionale alle proprietà intrinseche della materia prima, alle tecnologie di cantina disponibili e alla maestria dell’enologo. È grazie al loro essere un aggregato professionale propositivo se l’Italia, negli anni Ottanta del secolo scorso, è riuscita a ripartire, mettendo in modo quel fenomeno che ancora oggi chiamiamo il nuovo Rinascimento del vino italiano. Mi piace ricordare che una parte importante di quel miracolo è ascrivibile all’operato dell’Associazione italiana enologi che si è battuta per affermare la cultura della qualità e rilanciare un’immagine del vino italiano più spendibile sui mercati, domestico e internazionale.
Dove però la concorrenza non sta a guardare. In questo senso, cosa ti aspetti si debba fare per migliorare il nostro export vinicolo?
Bella domanda. Se fossi certo del successo della risposta me la farei pagare. Ad ogni modo, sappiamo che l’America del Nord resta l’asset più ricco e ricettivo all’offerta italiana, con i valori 2014 stabili a 1,3 miliardi di $ per 2,5 milioni di ettolitri esportati. E questo, a fronte di arretramenti diffusi da parte dei principali concorrenti, nonostante abbiano praticato sconti sui prezzi dei loro vini. È un segno da maneggiare con cura. Non si può dire la stessa cosa sui segnali che arrivano per motivi diversi da Russia e Cina. Nel primo caso, la questione è meramente politica, si chiama Ucraina e sta danneggiando il patrimonio che gli italiani hanno costruito in anni di buone relazioni con Mosca. Su questo fronte non ci sono medicine che tengano, se non quelle che invitano la classe politica a riflettere seriamente su un conflitto che non fa bene a nessuno. (foto accanto: Nicola Dante Basile con i Cav. del Lavoro Ezio Rivella, al centro, e Gino Lunelli)
Quanto alla Cina, beh, che i produttori italiani si siano adoperati molto per esportare da quelle parti è solo una mezza verità. C’è un’altra parte, invece, che racconta di un Paese grande, antico, con una storia millenaria e che solo di recente s’è accostato al vino, per di più in un ambito elitario della società cinese. Si aggiungano poi il rallentamento del tasso di crescita dell’attività produttiva, taluni provvedimenti limitativi nel consumo di bevande alcoliche, la variabile francese che da tempo domina quel mercato. Infine, ma non ultimo per importanza, c’è la diffusione esponenziale del vigneto indigeno, oggetto nelle ultime decadi di investimenti caldeggiati dalle autorità competenti della stessa Repubblica popolare. Investimenti che, come già detto, hanno avuto un crescendo a partire dai primi anni del Duemila e arrivare agli attuali 570mila ettari di vigneti: quarto posto nel rank dei paesi produttori, subito dopo l’Italia.
Chiudiamo con Expo2015 che il primo maggio apre i battenti a Milano con 140 paesi che metteranno in vetrina ciò di cui sono capaci di fare in fatto di alimentazione. In questo contesto il vino avrà uno spazio ragguardevole con eventi dedicati, a cominciare dal Padiglione Italia. Cosa ti aspetti di trovare?
Finalmente ci siamo e, aggiungo, non vedo l’ora di andare a curiosare. Il tema “Cibo, energia per la vita” ancorché proposta originale per un’Esposizione universale si è rivelato strategico al fine di avviare una seria discussione a livello planetario. Ma è anche una proposta che affascina la gente di qualsiasi credo, colore e latitudine intenzionata a muoversi per interesse e per piacere. È un fatto che una recente inchiesta del New York Times sulle città di tutto il mondo da visitare quest’anno, Milano è stata votata come prima destinazione dove andare, anche per la concomitante occasione espositiva che si stima verrà visitata da oltre 20 milioni di persone.
In quest’ambito esclusivo, il prodotto vino assume un fascino particolare, soprattutto per l’Italia che per l’occasione ha organizzato un Padiglione ad hoc, affidandone la gestione al VinItaly. Ciò permetterà ai produttori che lo vorranno di fare conoscere i loro vini a una quantità enorme di persone interessate e qualificate. Un’opportunità che ritengo unica nel suo genere. Basterebbe solo questo per convincersi che bisogna coglierla al volo.