“Troppi medici al capezzale del malato prolungano il dolore”. C’era saggezza contadina nelle parole che nonno Salvatore diceva spesso, quando su una qualsivoglia questione il vociare della piazza prendeva il sopravvento.
Mi sono tornate di attualità ascoltando il coro assai stonato delle buone intenzioni che da mesi la casta politica ha elargito senza ritegno a destra e a manca, parlando di tagli e sgravi fiscali sulla casa degli italiani. Che oggi sono alle prese di imposte aggiuntive dai nomi pittoreschi come Imu, Tares, Tasi, Tarsi, Iuc e chi più ne ha più ne metta.
Il risultato, come raccontano le cronache di giornali e tv, è che a una manciata di giorni dalle prime scadenze in calendario, code interminabili di cittadini attendono di sapere cosa, quanto e come assolvere agli imposti doveri.
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Casa, “terra nostra” da tutelare
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Casa, dolce casa. Ovvero la “terra nostra” per antonomasia, che per un verso nutre e per un altro protegge. Come accade con le quattro mura di casa, obiettivo di una vita per tanti di noi. Forse tutti: otto italiani su dieci sono proprietari dell’unità immobiliare in cui vivono, documentano gli analisti. Un numero di per sé elevato anche rispetto ad altri Paesi. Forse per questo non poche voci, angosciate, si sono levate nella Penisola contro la “tiritera” di tasse e mini tasse su quello che una volta era considerato il “focolare domestico”.
Casa, dolce casa. Ancora le sento le voci del tempo che fu, quando i genitori educavano i figli al rispetto del cibo che non andava sprecato, della proprietà privata e dei doveri verso il prossimo. Sicuramente anche allora non mancavano i venditori di parole, ma almeno non risulta (che io sappia) ci fossero personaggi che minacciavano chi “osava comprare casa a loro insaputa”.
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Gli “Appunti” che formano i tutori delle cose di casa
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“Casa, dolce casa per piccina che tu sia mi sembri una badia, perché sei sempre casa mia”. La filastrocca mi è tornata in mente mentre leggevo un libro fresco d’inchiostro dedicato alla casa, un tema per il quale nutro un certo interesse. Vi si parla di norme che regolano l’abitazione, la vita in condominio, la sua corretta gestione, si parla di rispetto della “terra nostra” intesa quale bene materiale a cui ciascun di noi deve potere legittimamente aspirare.
Il titolo, comprensibilmente tecnico – “Appunti per la formazione dell’amministratore” edito da Anaci ( www.anaci.it ), scritto a più mani e curato da Eugenio Antonio Correale –, ha tutto per catturare l’interesse degli addetti ai lavori e, aggiungo, di tutti coloro che vivono in condominio. Tanto più che le quasi 700 pagine, ancorché impressionare per l’entità, si lasciano scorrere veloci una dopo l’altra, dando risposte a quesiti sulla vita di una comunità abitativa affidata alle cure di un amministratore che deve gestire gli interessi dei condomini come farebbe “un buon padre di famiglia”. Impegno estremamente arduo.
Il testo contiene gli scritti di diversi professionisti della materia, ognuno dei quali, anche alla luce della recente riforma della legge in materia di condominio, affronta uno specifico aspetto della normativa inerente l’Ordinamento giuridico, la proprietà, la locazione, l’assicurazione, i contratti, la gestione, il catasto, i rapporti con la pubblica amministrazione e molto altro ancora. Ma soprattutto si avvale degli “appunti” emersi in oltre trent’anni di corsi per amministratori che Anaci Milano organizza dal 1983 sotto la direzione dell’avvocato Correale. Il quale, nel dare alle stampe questa ottava edizione degli “Appunti”, riprende quanto ebbe a scrivere in un articolo il professor Giuseppe Turchini del Politecnico di Milano: <L’attività di gestione (di un condominio, ndr) può essere paragonata alla medicina, cioè a quell’insieme di discipline che tendono a conservare l’uomo nel miglior stato di salute possibile … . Ma, come la vita di un essere vivente dipende moltissimo da come questo è stato concepito e creato, così pure la vita degli edifici dipende da come sono stati progettati e come sono stati costruiti. (Ma) anche da come … l’utenza li usa e li conserva>.
A questo punto, giocoforza torno all’incipit, al nonno Salvatore e al suo modo schietto di interpretare i fatti della vita, evitando i venditori di parole, parole, parole. Saggezza di contadino, che chiamavano “il poeta”.