Passerella estera per il Franciacorta Docg. Ed è subito gloria, con l’applausometro che tra gennaio e ottobre mette a segno un +25% dell’export, rispetto al 2012. Certo, i valori assoluti sono tutto sommati modesti – da 1,1 a 1,4 milioni di bottiglie – se confrontati con i 60milioni di Asti Docg o i 30-40 di Prosecco nelle due denominazioni. Tuttavia è un fatto che mai prima d’ora s’era visto un prodotto del sistema vino Italia inanellare una serie di risultati positivi, per chiudere in 10 mesi con una performance di tale fattezza. Per di più conseguita in più paesi, a cominciare da Stati Uniti, Germania, Gran Bretagna e Giappone. Buon auspicio per un settore che, in casa, non fa che accusare un continuo ripiegamento di posizioni. Franciacorta superstar, dunque?
Fosse per i diretti interessati, i produttori franciacortini, l’exploit sarebbe rimasto sotto traccia. E anche di fronte all’evidenza dei dati sciorinati dal cronista, la loro prima reazione è stata di massima discrezione. <Sì, abbiamo notato un certo interessamento da parte di importatori esteri. In diversi sono venuti a cercarci, ma non abbiamo potuto soddisfare tutte le loro richieste, per via che la nostra disponibilità produttiva è contenuta e per oltre il 95% viene destinata all’Italia>, risponde Giovanni Uberti della omonima e rinomata azienda di Erbusco.
Per sapere come stanno davvero le cose bisogna salire fino al vertice del Consorzio di tutela del Franciacorta, dove una volta dipanata la matassa del successo, le risposte diventano come le buone ciliegie. Il motivo? Perché sono buone e chi le mangia spera che le migliori debbono ancora arrivare.
Esattamente come lascia intuire Maurizio Zanella, numero uno del Consorzio di tutela del Franciacorta, nonché mente e anima di quel gioiello di azienda che si chiama Ca’ del Bosco, secondo il quale <il meglio deve ancora arrivare>. E per più ragioni. A cominciare dal fatto che <stiamo parlando dell’unico vino italiano e non che, in termini di posizionamento, è alternativo allo Champagne>. Allocuzione che trova una perfetta sintesi nei listini degli altri prodotti similari in circolazione sui mercati internazionali, mediamente inferiori del 50, 60 e perfino 70% rispetto al “re” dei vini.
E allora, se il prezzo è di per sé una valida testimonianza del valore intrinseco del prodotto italiano, quale altra variabile ha reso il Franciacorta Docg nuovo prodotto cult del made in Italy, appetibile e applaudibile a più non posso sulle passerelle frequentate da “nasi” sofisticati?
Qui la risposta di Zanella non si fa attendere più di tanto: <Il coraggio di cambiare approccio al mercato, proponendo il prodotto anche a una clientela internazionale a cui finora non ci siamo rivolti, se non in modo sporadico per iniziativa di singole aziende, e facendo una comunicazione istituzionale collettiva sul brand Franciacorta>.
Poco più di 200 produttori di uva consorziati, di cui una buona metà cantine, il Franciacorta Docg trova la sua prima ragione d’essere nel territorio di appartenenza che gli dà nome e vigneti (a oggi, 2.800 ettari) che da Brescia scendono, ordinati, collina dopo collina verso l’Iseo. A questo si aggiunga il severo disciplinare di produzione che gli stessi consorziati si sono imposti senza deroghe di sorta e, voilà, la magia del perlage (guai a dire bollicine) prende forma in 14 milioni di bottiglie. Di queste, fino a un anno fa se ne esportavano poco più di un milione. Diventate quest’anno quasi 1,4 milioni. E non è finita.
<Non è finita non perché – sottolinea Zanella – mancano ancora i dati dei due mesi più cruciali ai fini dei consuntivi di vendita, ma perché riteniamo che vi siano ottime opportunità per il futuro e che non dobbiamo sciupare>.
Per certo non le stanno sciupando aziende del calibro di Bellavista, Cavaleri, Muratori, Fratelli Berlucchi, Villa, Bersi Serlini, Ricci Curbastro per citarne solo alcune che in questi ultimi anni si sono rese protagoniste di investimenti e sul fronte tecnico produttivo e su quello della comunicazione e del marketing. Per certo ne hanno fatto un obiettivo importante da centrare i fratelli Arturo, Cristina e Paolo Ziliani, la nuova generazione che ha preso il posto del padre Franco, fondatore con Guido Berlucchi della omonima azienda di Borgonato, nonché iniziatore nel 1961 della bella storia del vino di Franciacorta. Storia che ora si affaccia anche all’estero
Paolo Ziliani, responsabile commerciale dell’azienda che da sola fa un terzo della produzione di Franciacorta, dice: <L’export sta diventando una voce sempre più importante e un’azienda come Berlucchi, per quanto venda il 90% in Italia, non può non andare all’estero. Lo stiamo facendo e debbo dire che i risultati ci stanno dando soddisfazione. Ho avuto la sensazione che ci stessero aspettando. Certo, arriviamo dopo rispetto ad altri competitori, ma l’esperienza acquisita mi dice che non è mai troppo tardi per osare>. Dunque ha ragione Zanella, quando parla di coraggio? <Assolutamente sì, come pure condivido la linea d’azione che ha impostato in seno al Consorzio di procedere per gradi, mercato dopo mercato, senza fare il passo più lungo della gamba>.
E già, il riferimento di Ziliani va alla decisione adottata un paio d’anni fa dal Consorzio di tutela di avviare per prima cosa un ampio monitoraggio su alcuni paesi, per poi passare all’azione in Usa, Germania e Giappone, dove nel corso di quest’anno sono state scelte agenzie locali a cui è stato affidato un budget per promuovere il Franciacorta e la terra di Franciacorta. Il prossimo passo saranno gli eventi collettivi, a sostegno dell’azione che ogni singola azienda vorrà poi fare. <L’obiettivo nostro – conclude il presidente Zanella – è arrivare entro il 2017 a esportare il 20% della produzione di Franciacorta>.
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I NUMERI DEL FRANCIACORTA
1990: nasce il Consorzio Franciacorta
1995: arriva la Docg
2010: nuovo Disciplinare produttivo
108: cantine associate
19: Comuni dove si produce Franciacorta
2800: ettari vitati per l’82% a uve Chardonnay, 14% Pinot nero, 4% Pinot bianco
13,8: milioni di bottiglie prodotte, di cui l’8% esportate nel 2012