La qualità del cibo rilancerà l’agrobusiness, ma bisogna saperla proteggere

La qualità paga, dice il saggio. La qualità ci salverà ma bisogna proteggerla, aggiungiamo noi. Il cibo e le bevande di eccellenza di cui l’Italia è ricca sono un ottimo viatico per conquistare nuove fasce di consumatori e dare un futuro al sistema agroalimentare nazionale. Solo che con la crisi che non demorde e milioni di italiani che raschiano il fondo della borsa, la qualità da sola non basta…


…Ci vuole qualcosa d’altro. Che so, una dimostrazione di coraggio
che coinvolga le imprese disposte a investire in ricerca e futuro e un progetto
politico tosto che non si fermi alla sola enunciazione e non si presti a
fraintendimenti, tanto in Italia quanto a Bruxelles.

Il
mondo è pieno di buoni propositi, ma in tempi di crisi le parole si perdono nel
vento più velocemente del solito. Mentre il sistema economico continua a soffrire,
con la spesa per primo, secondo, vino e contorni vari fortemente ridimensionata
nei valori assoluti; per non dire della famosa teoria che definisce
l’alimentare un settore anticiclico (rispetto ad altri comparti produttivi) finita
nel congelatore. Sicché i fatti ora hanno tutto un altro colore, e il sapore amaro
della crisi che traspare in tutta evidenza dall’allarme di Confcommercio, quando
parla di una spesa per la tavola che negli ultimi cinque anni (2008-2012) è
crollata del 9,6 per cento. Come dire, un taglio netto di 2,5 miliardi di euro
l’anno che ridimensionano la domanda complessiva delle famiglie italiane a non
più di 117 miliardi, rispetto ai quasi 130 del 2007.

Una
débacle mai prima d’ora conosciuta che, già questo, dovrebbe sensibilizzare i
gestori della politica agricola nazionale a un serio approfondimento delle
cause. Che finora è venuto a mancare e che non pochi osservatori ritengono addebitabili
non solo alla cattiva congiuntura, ma anche a volgari disattenzioni da parte di
quanti avrebbero dovuto vigilare con scelte politiche appropriate. Scelte
capaci di tutelare e sostenere i prodotti della filiera, specie se
rappresentativi di una realtà di eccellenza la cui immagine è messa a dura
prova da una caterva di falsi che stravolgono le regole del gioco e offendono
la genuina offerta del made in Italy.
20 Parmigiano Reggiano, only parmesan -magazzino

Sono
anni, infatti, che il problema viene da più parti denunciato, arrivando a
quantificare il danno per la buona tavola italiana nel mondo in 60-70 miliardi
di euro l’anno: tre volte tanto il totale effettivamente esportato. Con quale
risultato? Meno di zero, visto che le pur altisonanti denunce dell’amministrazione
nazionale continuano a rimbalzare sul muro di gomma di Bruxelles. Dove, invece,
le potenti lobby dei paesi industriali nord europei fanno breccia, incassando
la tutela Ue contro l’espansione di tecnologie provenienti dai paesi terzi.
Quegli stessi paesi che, penalizzati su un fronte, si rifanno introducendo dazi
proibitivi sulle importazioni di vino provenienti dall’Europa mediterranea.
Cioè anche dall’Italia.

Oggi
è il vino a rischiare grosso, domani potrebbe essere un altro dei mille e uno prodotti
made in Italy. Compresi quelli già sotto la tutela delle Denominazione di
origine, vanto indiscusso dell’agrobusiness italiano. U
na realtà, quella delle Dop che, secondo l’ultimo
rapporto di Qualivita presentato dal presidente della commissione Agricoltura
Ue, Paolo De Castro e dal neo ministro delle Politiche agricole Nunzia De
Girolamo, conta 814 denominazioni tra alimentari (254), vini (521) e bevande
spiritose (39). Nemmeno poi tanto una nicchia, considerato che genera 1,2
milioni di tonnellate di prodotto per 6,5 miliardi di euro nella sola fase
primaria; cui vanno aggiunti altri 3 miliardi da colture biologiche. Anche
queste vanto del sistema produttivo primario che, per dirla con il ministro De
Girolamo, <aiuterà l’Italia a
ripartire attraverso la sfida che passa dal rilancio del mercato interno e dalle
esportazioni>. In che modo? <Riportando al centro del dibattito
l’agroalimentare nella sua totalità, usando la politica per interagire con la cultura,
l’istruzione, il turismo, la giustizia e gli interni>. E soprattutto,
conclude il ministro <facilitare il lavoro degli imprenditori agricoli,
troppo spesso impegnati con la burocrazia delle carte>, il che sottrae tempo
<alla ricerca e all’innovazione>, intese come propellente in grado di
<coniugare la qualità del lavoro alla sfida per la competitività>.

Dichiarazioni di forte
impatto, cariche di pathos, dolci note per le orecchie di chi lavora i campi e
produce eccellenze da portare sulle tavole italiane e oltre. Non è la prima
volta che un politico si espone a tanto. Non vorremmo che
anche questa volta restassero confinate a un discorso di circostanza.

  • l'Apota |

    Quale futuro se la grande distribuzione e
    molti marchi storici sono in mano straniera??

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