È tra le eccellenze vinicole più rappresentative del made in Italy; il suo fine perlage ne fa uno spumante metodo classico tra i più desiderati dagli italiani, oltre a essere stato il primo ad avere riconosciuta la Doc (nel 1993) e secondo in Europa, dopo lo Champagne. Con il quale si confronta qualitativamente a pieni voti.
Eppure lo spumante Trentodoc, dal marchio collettivo che lo rappresenta, è ancora modestamente presente sui mercati esteri, nonostante tra i suoi cultori vi siano nomi che hanno fatto la storia della spumantistica nazionale, a cominciare dal mitico “Giulio Ferrari” che alla prima Esposizione universale di Milano – “Expo 1906” – conseguiva la medaglia d’oro della categoria.
Ottenuto prevalentemente da uve Chardonnay e Pinot nero (ma sono ammessi anche Pinot bianco e Meunier), il Trentodoc si distingue da altre pur validi proposte per l’unicità delle sue vigne, collocate nei terrazzamenti montani del Trentino: territorio che regala freschezza e acidità alla materia prima, anche se ne circoscrive le superfici coltivabili, di per sé fortemente parcellizzate (in media un ettaro ad azienda agricola). Motivo per cui la produzione, allo stato attuale, si aggira sugli otto milioni di bottiglie, che è pur sempre pari al 35% della produzione nazionale di spumante classico.
Tuttavia colpisce, e chi scrive non può fare a meno di osservare, che la scomposizione delle quote mercantili risulta assai poco equilibrata, essendo il 90% del prodotto destinato al mercato domestico e il restante 10% avviato alla clientela estera. Fatto che da un lato garantisce il tutto esaurito a fine anno, ma dall’altro riduce il potenziale economico che le cento e passa etichette di Trentodoc garantirebbero alle aziende produttrici, sempre che queste allungassero un po’ più la testa altrove, oltre le Alpi. Cosa che allo stato solo in poche possono permetterselo di fare. Ma un conto è farlo da soli e altra cosa è agire condividendo una politica che promuova collettivamente il marchio.
La questione in realtà è abbondantemente masticata dagli associati al Consorzio Trentodoc, la cui sede trova spazio nel prestigioso palazzo rinascimentale Roccabruna, già residenza della Curia al tempo del Concilio di Trento.
A sottolinearlo è lo stesso presidente Enrico Zanoni che in tema di export vinicolo è maestro, stante l’esperienza che gli deriva dall’essere amministratore delegato di un colosso come Cavit (11 cantine consorziate, 4.500 soci, 65 milioni di bottiglie per il 70% esportate in 60 paesi) e considera strategica la messa a punto di un’azione collettiva che aiuti a diffondere l’immagine dello spumante e del marchio Trentodoc.
Tale opzione può apparire condizionata dalla difficile congiuntura nazionale, il che non è da escludere, ma in Tentino è anche logica prosecuzione di un’attività con i mercati esteri che, fosse solo per contiguità geografica, ha sempre avuto un appiglio estremamente importante. E questo per i vignaioli di Trentodoc vale ancor più oggi, avvertendo una maggiore consapevolezza delle istituzioni territoriali nel sostenere iniziative ad hoc. Sull’esempio di quanto già si fa in ambito locale, dove proprio in questi giorni decolla l’appuntamento “Bollicine sulla Città”. Un evento nell’evento che anima l’atmosfera dei tradizionali mercatini di Natale che – lo ricorda il segretario generale della locale Camera di Commercio Mauro Leveghi- lo scorso anno ha calamitato nella Provincia autonoma più di 600mila ospiti provenienti da diverse regioni italiane e dall’estero.
Quest’anno poi, a dare maggior forza all’iniziativa, si inserisce l’azione propositiva del Muse, il nuovo Museo delle Scienze disegnato da Renzo Piano (foto sopra) che ha portato a Trento, e non solo, una ventata di novità nella diffusione della cultura e della storia dell’uomo in senso lato, divenendo un punto di attrazione per i visitatori di ogni età e tappa imperdibile per scolaresche di ogni ordine e grado. E a conferma dell’intreccio che si intende consolidare tra scienza, territorio e cultura del vino e del cibo, il Muse (insieme a Palazzo Roccabruna) è stato pensato come tappa obbligata per una due giorni dedicati a degustazioni e approfondimenti delle tematiche afferenti la filiera del vino e dello spumante Trentodoc.
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Palazzo Roccabruna: storia, arte e vino
Provenienti dalla zona di Fornace, i Roccabruna erano una delle più antiche famiglie del Trentino. La loro presenza, con il ramo di Fornace, è documentata nella storia locale dal XII° al XVIII° secolo, e uno dei loro più illustri esponenti fu l’arcidiacono Gerolamo II Roccabruna. A metà del 1500, in un’epoca che tendeva alla nobilitazione per architecturam, egli acquisì una serie di vecchi edifici prospicienti via SS. Trinità che accorpò in un unico palazzo.
L’effetto più rilevante dei suoi interventi si espresse in una facciata di pregevole unità compositiva, assolutamente originale in relazione all’epoca e al contesto cittadino. Sull’archivolto campeggia lo stemma di famiglia dei Roccabruna e, sullo stesso asse spicca l’imponente stemma del cardinale Cristoforo Madruzzo, omaggio dell’Arcidiacono al suo potente protettore.
Tra le varie notizie storiche relative al Palazzo merita un cenno il ruolo significativo da esso rivestito nell’ultima fase del Concilio di Trento, quando nelle sue sale dimorò l’oratore del re di Spagna, l’estroso Claudio Fernandez de Quignones, Conte di Luna. E proprio dalla sequenza delle sale emerge l’apparato decorativo con soffitto a cassettoni e gli ambienti affrescati con soli, lune e motivi mitologici. Sulla parete di fondo accanto ad un pregevole esempio di camino in pietra, su cui spicca uno stemma Sardagna de Hohenstein, si apre l’accesso alla cappella privata dell’Arcidiacono.
Oggi Palazzo Roccabruna ospita l’Enoteca provinciale del Trentino ed è sede della Camera di Commercio di Trento.
info: <www.trentodoc.com>; <www.palazzoroccabruna.it>
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