Le colate di lava dal cratere principale dell’Etna succedutesi nei primi giorni di agosto ha calamitato da ogni dove vulcanologi, escursionisti e appassionati della montagna. Poi gli sbuffi di gas dal centro della terra sono andati affievolendosi, fino a spegnersi del tutto.
Ma proprio quando tutto sembrava rientrato, ecco la sorpresa che ciascun escursionista, percorrendo i sentieri della montagna a piedi o con i grandi bus-trattori Mercedes, non ha mai smesso di avere in cuor suo: trovarsi a tu per tu, ovviamente a debita distanza, con il vulcano che, prima brontola sordamente, e poi comincia a sputare fuoco a intervalli quasi costanti. Quasi a dire di una regia che, meraviglia della natura, ne ha programmato tempi e modi.
Questa volta il fianco interessato è quello che guarda a Est, con la lava che tracima incandescente nella valle del Leone, mentre cenere e lapilli si levano alti nel cielo stellato e pulito di agosto, con la luna piena che lascia la sua lunga coda argentata sul quieto mare di Taormina, Riposto, Catania. Uno spettacolo unico nel suo genere da lasciare senza fiato i mille-e-uno escursionisti imbacuccati di tutto punto, per non accusare l’aria gelida dei tremila metri di altezza. Da quassù tutto è poesia, le stelle cadenti paiono sfiorarti e i mali del mondo sono sepolti e dimenticati.
<Comunque vada, l’Etna non delude mai: le sorprese sono all’ordine del giorno>, confida Alberto Puglisi, ingegnere e naturalista che del più alto vulcano d’Europa ne è profondo conoscitore. Lo aiuta il fatto di essere natìo di Linguaglossa – graziosa cittadina di 5mila abitanti distrutta dalla furia del vulcano almeno sei volte nel secondo millennio (l’ultima nel 1926) e sempre ricostruita -, nonché il fatto di essere consulente della società Star che gestisce gli impianti di risalita dell’Etna Nord e Sud, dove d’inverno ci sono piste innevate che sembrano finire a picco nel mare.
È grazie al suo suggerimento che ora mi trovo in compagnia di una numerosa comitiva – tra cui quattro simpatiche “cocorite” (Cristina, Isella, Luisa e Marina) a cui la lingua non duole mai e a cui va il mio affettuoso saluto – a godere di ciò che ha tutto per essere una grande opportunità per una moltitudine di turisti che scelgono la Sicilia come meta di vacanze.
Invece accade che di questa maestosa montagna, dove la terra fertile abbonda di agrumeti e vigneti dai vini generosi (sono un’ottantina le cantine che vi hanno posto radici), se ne parli a spizzichi e bocconi, in modo del tutto frammentato e quasi sempre per iniziativa di strutture private. A cui l’istituzione pubblica non pare voglia dedicare molta attenzione, lesinando persino quei contributi resi disponibili da leggi comunitarie, statali e regionali. Che, non spesi, come succede non solo in Sicilia, ma qui forse più che altrove, dovranno essere per forza di cose restituiti alle casse comunitarie.
Una conferma di questo assurdo comportamento autolesionistico <sono i circa quattro miliardi di euro, su sei ricevuti, che la Sicilia dovrà restituire alla Ue entro il 2015, perché non sono stati utilizzati per tempo, mentre nel cassetto della burocrazia giacciono progetti e nuove iniziative che potrebbero aiutare molto a promuovere il rilancio del turismo siciliano e di molte altre iniziative>.
A ricordarlo con voce che tradisce emozione è Joe Castellano, siciliano doc, uomo di legge e una fama di bluesman di caratura internazionale che da anni organizza, con non pochi sacrifici personali, il più antico festival di Blues & Wine d’Italia. Un evento che dura settimane e vede la Super band di Joe Castellano, formata da elementi italiani ed esteri, non solo portare la grande musica di paese in paese, ma ne diventa esso stesso appuntamento per discutere in modo corale delle opportunità che l’arte, la storia, il territorio, la cucina, la cultura musicale mettono a disposizione di tutti, pubblici e privati.
Così accade che concerti di blues, dibattiti su vino e cultura gastronomica e turismo si integrino in un unico appuntamento. Come i due sull’Etna a cui chi scrive ha avuto l’onore di partecipare – le Cantine Patria di Castiglione di Sicilia e il Pìcciolo golf resort di Linguaglossa, nel corso del quale sono stati assegnati premi personaggi che hanno dato lustro al vino italiano nel mondo (Lucio Caputo di Italian Wine & Food Intitute di New York, nella foto a Sx con Claudia Ferraresi di “Libri da Gustare” e il bluesman Joe Castellano), scrittori (Andrea Zanfi) e amanti della cucina (Andy Luotto) – e scoprire il paradosso che gli stessi enti e organismi pubblici locali colgono tali occasioni (private) per discutere (meglio che niente) di iniziative e programmi finalizzati allo sviluppo del territorio.
Tutto bene? Non proprio, visto che di sviluppo del territorio ormai si parla ogni due per tre e anche a sproposito. Soprattutto da parte dei tanti parolai e burocrati che anche quando promettono sanno di mentire spudoratamente, continuando come se nulla fosse a chiudere gli occhi nei confronti di chi e di quanti dimostrano, con progetti fattibili e iniziative reali, il loro attaccamento al futuro di questo paese. Che non è solo la Sicilia, ma l’Italia tutta.