I loro eventi di lavoro hanno sempre un che di gioioso. Tale è la sensazione che percepisce l’ospite accolto da signore dagli accenti più diversi e il sorriso traboccante da guancia a guancia. Un approccio informale se non proprio amichevole che mette subito l’invitato a suo agio, lasciandogli supporre per un istante di essere a una festa che va a cominciare.
Loro sono le Donne del Vino: penso modestamente a novecentonovantanove imprenditrici titolari di aziende vinicole, enoteche, ristoranti, sommelier, giornaliste provenienti da ogni dove della Penisola e oltre. Operatrici e professioniste affaccendate in tutto ciò che parla e fa parlare di vino, con la consapevolezza di poterlo fare e comunicare al meglio con fattualità tutta al femminile alimentata da entusiasmo, obiettivi circoscritti e determinazione. Un mix di fattori ben percepiti nell’incontro tenutosi recentemente nella sede dell’Unione italiana vini, a un passo da Piazza Affari, dove gli acuti e il chiacchiericcio corale hanno lasciato spazio in men che si dica all’esile voce della presidente dell’associazione Donatella Cinelli Colombini (nella foto sotto con alla sua sx la delegata del Veneto Alessandra Boscaini), attorniata da vignaiole e delegate regionali toste e pronte a dire la loro.
Motivi dell’incontro, la comunicazione di tutta una serie di iniziative da promuovere unitariamente durante l’anno in Italia e su alcuni mercati esteri; la partecipazione a dibattiti allargati ad altre componenti professionali su problematiche cogenti come produzione, sostenibilità, gestione del vigneto e della cantina, rispetto del territorio e persino un tema ostico come l’accesso al credito delle imprese (tema al centro di un convegno di Wine&Siena in programma oggi nella città del Palio.
Ma anche il varo di progetti inediti tutti al femminile, finalizzati a supportare materialmente corsi e percorsi innovativi per giovani volenterose che desiderano formarsi e intraprendere attività nel variegato mondo di Bacco. Non proprio un modo come un altro di indicare opportunità, ma un viatico solidale offerto da aziende dell’associazione ad aspiranti professioniste del vino.
Insomma, un approccio che dice molto anche sulle capacità di rivalsa delle imprenditrici vignaiole che, lasciate lungamente ai margini di un campo a forte impronta maschile, dimostrano di essere quanto mai protagoniste del cambiamento in atto nelle arti e nei mestieri. Un cambiamento che coinvolge tutti e tutto, come lascia intuire la recente nomina di una donna – Marta Cartabia (foto accanto) – al vertice e per la prima volta nella storia della Corte Costituzionale. O come ci ricordano figure femminili del calibro dell’astronauta Samantha Cristoforetti, ovvero della direttrice del Cern di Ginevra Fabiola Gianotti.
Un cambio di passo antropologico, sociologico, economico, politico comunque trasversale a tutta la società italiana che non poteva non coinvolgere anche il mondo agricolo nel suo complesso.
È un fatto che in Italia su un totale di 413mila imprese agricole strutturate come tali (Istat 2019), le aziende vestite di rosa sfiorano il tetto di 150mila, come dire più del 36% del totale, con un trend di crescita contenuto ma costante negli anni. E soprattutto in controtendenza alla piallatura che, al contrario, assottiglia sempre più lo zoccolo duro del settore primario. Che, è il caso di osservare, in occasione del primo Censimento agricolo del dopoguerra (1961), contava 4,3 milioni di aziende per un totale di 26,5 milioni di ettari di superficie agricola disponibile (Sat).
Numeri impressionanti tracimati senza ritegno in appena mezzo secolo, a causa dell’urbanizzazione di un Paese sempre più industriale-terziario e la conseguente pauperizzazione e abbandono delle campagne. Talché l’ultimo Censimento risalente al 2010 (il prossimo è in calendario quest’anno) ci ha consegnato un’Italia agricola composta da 1,6 milioni di aziende, 17 milioni di ettari di Sat, ma poco più di 12,5 milioni quelli realmente utilizzati (Sau).
Dunque, una caduta che non ha riscontri altrove in Europa. E per di più non del tutto compensata dall’ampliamento delle superfici fondiarie delle singole aziende, considerati i tanti campi lasciati incolti o destinati a stabilimenti industriali, capannoni commerciali e altri usi. Tuttavia, contestuale a scelte colturali selettive che a partire dagli anni ‘90, ha permesso all’insieme della filiera agricola italiana di crescere in qualità e immagine, come testimoniano le dinamiche di successo alla base di tanti prodotti della tavola made in Italy. In primis vino, formaggi e olio extravergine d’oliva (quest’anno ricorre il 60° dall’esatta definizione merceologica) che il mondo intero apprezza. E, purtroppo, taluni scimmiottano truffandone l’immagine.
In questo crescendo di valori e di immagine, le Donne del Vino (la fondazione del sodalizio associativo risale al 1988 ad opera di un manipolo di imprenditrici e manager del vino capeggiate da Cinelli Colombini, Elisabetta Tognana e l’indimenticabile Giuseppina Viglierchio allora in capo a Villa Banfi) hanno saputo destreggiarsi due volte meglio di tanti loro colleghi maschi.
Non si spiegherebbe altrimenti il perché in un così breve arco di tempo il cuore femminile batte il tempo al 28% delle imprese viticole nazionali. E ancora, sono donne il 26,5% delle manager al timone di singole cantine o gruppi di aziende vinicole, il 24,8% gestiscono i punti vendita di vino al dettaglio e il 12,5 per cento gestiscono negozi all’ingrosso.
Ancora numeri che si riflettono su tutta la filiera agricola, dove le aziende al femminile pur gestendo superfici pari al 21% del totale Sau, hanno un ritorno contabile premiante stimato intorno al 28% del Pil rurale (circa 60 miliardi di euro nel 2019). Il che in un certo senso convalida l’analisi della rivista americana Forbes che, a commento della selezione delle 100 donne più influenti del mondo, ha sostenuto che “se le donne raggiungessero la piena parità nel lavoro, anche nei ruoli dirigenti, il Pil del pianeta aumenterebbe del 26 per cento”, pari a una cifra monstre di 28 mila miliardi di dollari.
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