Può e basta la ricchezza a dare felicità? Ovvero, in che misura un popolo felice si interfaccia con le istituzioni della comunità cui appartiene? Come vota? Come dialoga con i social network? Come ci si alimenta? E se ciò che si mangia è dannoso alla salute con chi bisogna prendersela?
Sono alcune delle tante domande a cui hanno cercato di dare risposte gli autori del Whr – World Happiness Report 2019, lo studio prodotto dal Center for Sustainable Development della Columbia University con il contributo della Fondazione Ernesto Illy che, da sette anni a questa parte, monitora lo stato di felicità e benessere delle popolazioni di 156 Paesi del mondo.
Tema a cui anno dopo anno viene aggiunto un focus mirato su aspetti specifici della questione, tipo “la qualità della vita” nel 2012 o “l’immigrazione” nel 2018, per citare il primo e il penultimo titolo della serie.
Per il Report 2019 presentato ieri nel corso di una tavola rotonda tenutati all’Università Bocconi (presenti Letizia Moratti, Francesco Billari, Andrea Illy, Jeffrey Sachs, Jan-Emmanuel De Neve, Shun Wang), l’argomento scandagliato dagli studiosi del Whr é stato il rapporto tra la felicità e la comunità. Come dire la relazione che intercorre tra gli individui , da un lato e, dall’altro, le istituzioni pubbliche e private, piuttosto che l’approccio all’innovazione tecnologica, ai Big data e, per stare alla politica, le diverse sfaccettature del populismo.
Un fenomeno, quest’ultimo, che gli autori dello studio hanno osservato per dritto e per rovescio. Nel senso che se il benessere solitamente rende il cittadino incline a sostenere i partiti di governo e, viceversa, i più infelici sono attratti dal populismo, il recente aumento di popolarità dei partiti populisti in diversi paesi del mondo non è da collegare ai livelli di infelicità della gente. Piuttosto, è vero il fatto che i leader dei vari schieramenti siano riusciti a fare breccia e conquistare larghe fasce di elettori scontenti di un certo vecchio modo di fare politica.
Riferimenti all’Italia? No di certo sul populismo, ma sul livello del benessere collettivo sì. Benessere e felicità che, nonostante tutte le difficoltà causate da una economia di crisi dell’ultimo decennio, vede il Belpaese migliorare di dieci punti la propria posizione nel rank mondiale: dal 47° posto occupato nel 2018 al 36° posto quest’anno.
Un salto che lo stesso direttore del Report, Jeffrey Sachs della Columbia University, definisce non male, visto che la collocazione è assai più vicina al top – da sempre appannaggio dei Paesi Scandinavi … con la Finlandia a fare l’andatura – che alla coda.
Ma l’Italia – è stato pure detto – ha handicap che la rendono più debole rispetto ad altri paesi, ma ha anche tante opportunità da sfruttare che altri popoli non hanno.
Fattori come la bellezza e la varietà del territorio; il genio artistico che nei secoli e in tanti campi ha partorito capolavori ineguagliabili; modelli di arte del vivere e del fare ammirati ovunque; per non citare il buon cibo, il made in Italy che altrove cercano comunque di imitare. Insomma, peculiarità, cose, forme che valorizzate ancor di più possono dare un forte contributo alla crescita economica e sociale.
Il problema è come accorciare la catena delle disuguaglianze tra Paesi e da dove cominciare? Interrogativi a cui Letizia Moratti, presidente del Consiglio di gestione di Ubi Banca, risponde con proposte di apertura alla finanza del sociale, ovvero puntare sempre più su processi produttivi eco sostenibili, come d’altra parte già si sta facendo con la green economy che vede in Italia operare qualcosa come 355mila imprese.
Molto di più comunque si può e si deve fare, aggiunge Andrea Illy, presidente dell’omonimo gruppo di torrefazione, nonché coautore (con Francesco Antonioli) del libro “Italia felix”, il cui sottotitolo si rifà proprio al come “uscire dalla crisi e tornare a sorridere” (Piemme Editore).
Ebbene, nel ricordare come sulla testa degli italiani pendono problemi enormi – per esempio il debito pubblico, il cambiamento climatico – che condizionano notevolmente il futuro del Paese, Illy invita tutti, la politica, le imprese (in particolare quelle private, che da sole incidono per i due terzi nella produzione del Pil, ma che non sono solerte nell’adottare decisioni come fanno le istituzioni pubbliche e la finanza), il mondo del lavoro ad agire, cercare soluzioni. Prima che sia troppo tardi.
Anche perché, com’è risaputo, la felicità non si coltiva, e quando arriva, perché comunque arriva, non si ferma mai.