Vendemmie d’Autore, come e perché il “contadino di Brusuglio” investe nel vino, nonostante le bizze del meteo

 

L’Italia era ancora tutta da fare e la civiltà industriale sgambettava con le sue ciminiere altamente inquinanti. Eppure, il “contadino di Brusuglio” a cui poesia e prosa gli daranno fama e onori universali, credeva prima di tutto nell’utilità e nel futuro di una sana agricoltura.

Coltivava frutteti, foglie di gelso, allevava bachi da seta, importava bozzoli giapponesi e cinesi, piantava cereali, cotone, persino caffè, zafferano e, udite udite vignaioli, vinattieri e winelover d’oggi, produceva vino. Sì, avete letto bene, produceva vino.

Lo faceva utilizzando vitigni locali e, non contento dei risultati, sperimentava barbatelle che acquistava da regioni limitrofe e ne prendeva da terre ben più lontane. Non importava il paese d’origine, purché dessero qualità. Esattamente come si comporta un imprenditore a tutto tondo che guarda ben oltre la punta del naso, investendo e facendo ricerca.

Non sempre i risultati di codesto illustre vignaiolo erano soddisfacenti. Anzi, gli errori di programmazione e coltivazione erano all’ordine del giorno; e non parliamo delle avversità meteorologiche che mettevano a soqquadro le sue colture. Accadeva allora, nei primi anni dell’800 e continua a succedere ancora oggi, con in più la questione del cambiamento climatico in atto che da anni arrovella più di un individuo da Nord a Sud da Est a Ovest del globo.

Ma chi era costui? Si domanderanno, parafrasando don Abbondio, i venticinque lettori di TerraNostra alle prese con una ipotetica verticale di vini prodotti in quel di Brusuglio. Località che, per i pochi che non sanno, è un quartiere di Cormano alle porte di Milano, già campagna ubertosa con annessa villa di vacanza per famiglia meneghina benestante.

Solo che nel Seicento, al tempo del pavido parroco minacciato dai ‘bravi’ del burbero don Rodrigo e del matrimonio “che non s’ha da fare” tra Renzo e Lucia, non si ha notizia di uve e vigneti di pregio né a Brusuglio, né lungo tutta la Penisola ancora parcellizzata tra feudi, stati e staterelli.

Al contrario di quanto avverrà due secoli dopo, tempo di Risorgimentali e patrioti Carbonari impegnati nello scacciare il despota straniero di turno. E anche di un letterato gentiluomo di campagna che amava definirsi “contadino da capo a piedi”, e pubblicava trattati di agricoltura (Nomenclatura botanica, Ampelografia, vini e viticoltura in Italia), prima ancora di scrivere opere immortali come Cinque Maggio e Promessi Sposi.

Ebbene sì, cari lettori, sto dicendo dell’autore di “Ei fu…” Alessandro Manzoni (Milano 1785-1873) che poco più che adolescente, e forse un poco annoiato di essere ospite a Parigi della madre Giulia Beccaria, maritata in seconde nozze a Carlo Imbonati, decide di tornare a Milano, dividendosi tra la centralissima residenza di Via Moroni-Piazza Belgioioso e la tenuta di Brusuglio. Dove, appunto, egli ama trascorrere lunghi periodi, sentendosi “a tutti gli effetti un coltivatore …”, scriverà agli amici parigini, chiedendo loro consigli su colture da sperimentare, nonché invitandoli a raggiungerlo “per godere del clima migliore...”

Messa così, Brusuglio per Manzoni “doveva essere il paradiso terrestre”, scrive Gianni Rizzoni nel suo libro L’Altro Manzoni pubblicato con i tipi di F. Brioschi Editore di Milano (*). Un testo intrigante per la storia che contiene, rivelatore di aneddoti, amori, amici, avventure, manie e la passione per la campagna del grande scrittore italiano.

Nei fatti un saggio romanzato di agile lettura, denso di riferimenti bibliografici, alcuni noti altri meno altri ancora sconosciuti ai più, che testimoniano più che mai il forte impegno del poeta per l’agricoltura. Attività che egli riteneva fondamentale per sé stesso e per la collettività, la cui messa in pratica necessitava di una intesa collaborazione tra proprietà, datore di lavoro e prestatore d’opera. Presupposto che spiega la lungimirante partecipazione del nostro nel perfezionamento di quello che, forse, è stato il primo “contratto di mezzadria, in Lombardia”.

Brusuglio il paradiso terrestre, dunque. Dove il giovanotto Alessandro, senza trascurare la poesia e circondato dalla giovanissima moglie Enrichetta Blondel e dai numerosi figli (ne faranno ben13) si dedicherà “immerso fino al collo in attività e progetti di agricoltura”, come scriverà all’amico di famiglia Claude Fauriel. Riferendogli pure delle traversie e dei danni che una volta la siccità, altre volte piogge torrenziali, venti e gelate procuravano alle piantagioni della sua tenuta e del territorio circostante.

In una corrispondenza del 1817 a Fauriel, scrive: “Le attività agricole sulle quali contavo molto si sono rivelate quest’anno una risorsa ben inferiore al solito, per via di una gelata tardiva che ha talmente danneggiato i gelsi, tanto che siamo stati in dubbio di poter coltivare i bachi da seta. Il disastro è stato generale nella pianura…”. Le conseguenze per i conti aziendali sono devastanti, tali da mettere a repentaglio la prosecuzione dell’attività, che don Lisander continuerà a fare mettendo in vendita altri beni familiari, tra queste la tenuta del Coleotto, nel Lecchese.

Stesso tenore le doglianze che riferirà in altra occasione all’amico e poeta Gaetano Cattaneo, mettendolo al corrente della “siccità… i cui effetti si faranno di certo crudelmente sentire. Dei minuti (un cereale di secondo sfalcio, ndr) è pressoché perduta ogni speranza; il grano turco s’è messo i ‘pantaloni di nankin’, come dicono i nostri poveri contadini; … per soprappiù non si farà mangime per le bestie, se la pioggia tarda ancora …”

Criticità, delusioni per i mancati ritorni e le tante spese da sostenere che non mineranno minimamente la fiducia del Manzoni per l’attività agricola. Tant’è che continuerà a investirci per tutta la vita, con un’attenzione particolare per la viticoltura che forse amava più di ogni altra attività. Non solo non si scoraggia, quando il vino prodotto gli farà storcere in naso, ma si prodiga per cercare e far cercare nuove barbatelle da piantare.

Le chiede all’amico toscano Ricasoli, che però risponde di non averne di pronte, mentre potrebbe fornirgli bozzoli di bachi da seta. Si rivolge a conoscenti di altri paesi, dal Tirolo alla Borgogna, dal Bordolese al Medoc….

Curioso, al riguardo, il fraseggio un po’ sfottò tra don Lisander e il caro amico Tommaso Grossi, poeta dialettale e patriota barricadero, l’esatto contrario del nostro, che intenzionato ad aiutarlo si procura da un suo parente del Bergamasco dei maglioli di uva Uccellina, Uselina.

Una volta trovati, Grossi li fa recapitare con urgenza all’illustre destinatario, suggerendogli di “piantare il più presto che potrai. Io ti riferisco da ignorante quello che mi dicono …, ché tu sei quel dotto che sei, che hai logorati gli occhi e lo stomaco, sciupati mesi e denari, fatto arrabbiare parenti e amici, a furia di comperare, di leggere, di ruminare e digerire trattati e trattati sulle viti e sui vini…

Passano pochi mesi, è la risposta è alquanto piccata. “Carissimo – scrive Manzoni a Grossi -, se tu credessi mai che, in punto di maglioli, non ti resti altro da fare che ricacciarmi in gola i ringraziamenti, … con un che mi burli?… (Devi sapere) che, sia per cagion di nebbia, o di gragnola, o del freddo, o del secco, o per altro malanno sia, quella vigna non ha messo, quest’anno se non tralciuzzi buoni da nulla. Di modo che io rimango a secco… eppur la mia vignola ha da esser dilatata, e il terreno è già bell’e disposto e misurato …”

A quel punto è la madre Giulia Beccaria in persona che, preoccupata per il cattivo umore del figlio contadino, implora una sua amica in Francia di procurarle 30mila barbatelle di Pineau della Cote d’Or. Che arrivano in fretta e furia a Brusuglio, facendo felice il vero destinatario. Una felicità che però si rivelerà effimera, giacché anche questi maglioli faranno una brutta fine.

Al dunque, allo sfortunato poeta e contadino non gli resta che contattare suo figlio maggiore Pietro, da tempo trasferitosi a Verona, implorando di mandagli “..,al più presto 12 bottiglie di Val Pulicella. Ieri si rimase senza vino, e oggi n’ho chiesta una bottiglia a Sogni”

(*) “L’Altro Manzoni” di Gianni Rizzoni, 269 pag, euro 18 (Francesco Brioschi Editore, Milano)

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