A un passo da 20 milioni di bottiglie nell’arco di 12 mesi 2024. Tante sono state le vendite certificate a scaffale l’anno passato, cedute a un prezzo medio di 24,52 € cadauna, per un giro d’affari che sfiora il mezzo miliardo di euro. Senza contare le partite destinate a riserve strategiche di cantina.
Un traguardo di tutto rispetto che, sfido, nessuno ha osato immaginare 35 anni fa, quando – era il 5 marzo 1990 – un manipolo di aziende vitivinicole diede vita al Consorzio di tutela del Franciacorta. Ovvero, il vino con le bollicine che i diretti interessati evitano di chiamare genericamente spumante classico, in quanto metodo di lavorazione, privilegiando invece il valore aggiunto che gli deriva dall’uso del nome del territorio da cui provengono le uve trasformate esclusivamente in loco.
Venti milioni di bottiglie non sono poche per essere un prodotto di nicchia, apprezzato per la sua qualità intrinseca da consumatori d’ogni genere e paesi assai diversi tra loro per cultura e costumi alimentari. Tutto questo per un vino che ha la sua terra d’adozione in un angolo ben circoscritto di Lombardia precollinare che, fino a metà anni del decennio ’70 del secolo scorso, riscuoteva ben modeste considerazioni.
Tutt’altra evidenza s’è vista nella seconda parte del decennio successivo. Quando, in pieno riscatto o nuovo rinascimento della vitivinicoltura nazionale, l’intera Franciacorta si è riovelata laboratorio generoso di qualità ottenuta sia a cielo aperto, sia nel chiuso delle cantine sempre più pensate e curate come veri e propri scrigni museali. Fattori comuni ad alcune altre similari realtà viticole regionali che hanno stimolato un crescendo qualitativo strutturale dell’intera filiera vitivinicola nazionale, sconfessando le politiche massive di prodotto da avviare alla distillazione. Generando, invece, un notevole recupero d’immagine e di cassa di cui l’Italia ha ragione di vantare.
Insomma, un cambio di paradigma sostanziale che ha portato al successo. Che in Franciacorta ha nomi ben precisi, a cominciare dalle persone fisiche: gli enologi dalla cocciuta e consapevole convinzione di poter fare nella propria terra vini di gran qualità – uno per tutti: Franco Ziliani, il precursore; e gli imprenditori visionari, magari attivi in altri comparti, che abbagliati sulla via di Damasco hanno scoperto e travasato idee, tempo e capitali nel settore primario dell’agricoltura e viticoltura sostenibile, dell’agriturismo, dell’arte e tempo libero.
Una loro lista sarebbe troppo lunga da fare su questo foglio, sicché menzionarne alcuni sarebbe un torto per altri non citati, mentre è sacrosanto dire di vini che hanno peculiarità intrinseche ben definite, nonché un ente consortile garante di rigorose regole che gli associati si autoimpongono per farne parte. Tutti consapevoli che il successo si difende e si conquistata un pezzo tutti i santi giorni. Appunto come si è fatto fino a ieri, con i consumi interni e le esportazioni di Franciacorta che hanno tenuto botta ai condizionamenti causati da fattori esogeni assai gravi, come possono esserlo le guerre in atto. Cui ora vediamo montare minacce tariffarie che, se confermate, possono fare davvero tanto male alle congiunture degli stessi paesi che si ergono a difensori del principio di libero mercato.
In questo quadro d’insieme che sereno non è, l’ente consortile presieduto da Silvano Brescianini, in concomitanza con la celebrazione del 35° anniversario di fondazione, ha messo in moto appuntamenti evocativi dell’identità e solidità del marchio Franciacorta (oggi e domani convegno e masterclass presso La Catilina di Clusane), cui faranno seguito durante l’anno altre iniziative itineranti in Italia e all’estero. Il tutto con la precipua attenzione di non perdere l’attimo fuggente, la chiave di volta che permette di restare protagonista del proprio successo.
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Le analisi di “TerraNostra”: Franciacorta
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