Ettore Bernabei, dalla politica alla chiesa alla Tv, dove non ha messo solo le calze alle gemelle Kessler

 (ndb) Un pezzo di storia dell’Italia contemporanea che si legge come un bel romanzo. Le vicende narrate nel libro Ettore Bernabei il primato della politica di Piero Meucci per Marsilio editore, hanno però poco del romanzo. Sanno invece molto di politica, partiti, chiesa e va da sé della cruda realtà di un Paese che, uscito martoriato dal secondo conflitto mondiale, cerca il riscatto per un futuro migliore. Più giusto.

Una storia densa di fatti, relazioni, intrighi, scelte controverse tutto vissuto e narrato in presa diretta da un personaggio di rilievo che non ha mai avuto, né ha cercato un incarico politico, pur avendo avuto come pochi un peso crescente e trasversale nella vita della Penisola. Nei fatti un numero uno che ha legato il proprio nome alla storia dell’informazione, della Tv e tutto ciò che è cultura, costume e fa  spettacolo.

Ettore Bernabei, il primato della politica, ovvero la storia segreta della DC nei diari di un protagonista, come recita il sottotitolo del libro presentato nel convegno “Un protagonista nell’Italia del Novecento” all’Università Cattolica di Milano, con l’intervento di relatori e professori della medesima università: Agostino Giovagnoli, Aldo Grasso e Armando Fumagalli.

Dell’evento milanese e di Ettore Bernabei, maestro di giornalismo e televisione, “TerraNostra” ospita qui sotto un articolo di Claudio Filiberto Benedetti, giovane cultore di cinema, teatro e autore di fiction (Rai, Mediaset, Disney). Cui segue un brano ripreso dal libro e indicativo sui rapporti allora non certo idilliaci tra chiesa, grandi imprenditori e comunismo.

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Bernabei, il giornalista che in Tv non ha messo solo le calze alle gemelle Kessler

di Claudio F. Benedetti

In un mondo sempre più interconnesso, dove la televisione non è più il principale mezzo di comunicazione, il nome di Ettore Bernabei a cento anni dalla sua nascita sembra trovare risonanza soltanto nelle ricerche degli storici contemporanei. Anche il suo legame con la Dc, scomparsa da decenni nelle liste elettorali, è materia più di studio che di attualità, se non per la vecchia regola di guardare al passato per interpretare il presente.

Un’occasione per rivalutarne il ruolo è data dalla pubblicazione del libro di Piero Meucci, Ettore Bernabei. Il primato della politica. L’opera raccoglie ampi stralci dei suoi diari negli anni: eredità che ben si comprende ricorrendo all’adagio di Bernardo di Chartres, ovvero del gigante sulle cui spalle tanti nani si sono issati, alcuni tra i più insospettabili, altri ancora in circolazione.

Umberto Eco, Enzo Biagi, Alberto Manzi: solo tre nomi che hanno fatto grande la Rai e gli italiani con i loro interventi, servizi e lezioni. Non tutti sanno che sono apparsi sul piccolo schermo proprio sotto la direzione generale di Bernabei. Tredici anni, dal 1961 al 1974: una leadership che non può essere ricordata solo per “aver messo le calze alle gemelle Kessler”.

La televisione tornerà a occupare per Bernabei un ruolo centrale negli anni successivi alla pensione – dopo quindici anni all’Italstat -, quando nel 1991 fonda la società di produzione Lux Vide, tutt’ora tra le più prolifiche e valide nella creazione di fiction italiane e internazionali.

Ma anche lontano dalla Tv, Bernabei ha fatto della comunicazione un’arte decisiva, prima come giornalista e poi come dirigente, anticipandone il ruolo fondamentale che domina i nostri giorni in ogni ora e luogo. Bernabei aveva già compreso l’importanza del marketing nell’informazione e nella vita sociale, utilizzando i principi che governano le aziende per il suo ruolo di giornalista e uomo di fiducia della Dc.

Tuttavia, Bernabei sapeva qualcosa che gli odierni mezzi di comunicazione, molto più influenti e capillari della Tv, non considerano: la corsa all’onniscienza e all’onnipresenza dei social e il freddo calcolo che ne muove i profitti accontentano i pochi per nascondere i bisogni dei molti. La comunicazione non può servire solo a mostrare ciò che il pubblico vuole vedere o comprare, ma deve essere al servizio di chi ha bisogno.

Bisogno di ridurre il gap sociale, imparando a leggere e scrivere con il programma Non è mai troppo tardi del maestro Alberto Manzi, andato in onda qualche mese prima dell’insediamento di Bernabei, per poi proseguire per ben otto anni sotto il suo mandato; bisogno di partecipare agli eventi che accadono nel mondo, con i primi servizi di approfondimento dopo il telegiornale: Enzo Biagi fonda nel 1962 RT, dove si parla per la prima volta di mafia in Tv con il servizio Rapporto da Corleone. L’anno dopo sarà la volta di Tv7: le più grandi firme del giornalismo italiano – tra le quali Zavoli, Colombo, Barbato, Ravel e molti altri – realizzano reportage con un linguaggio forte e diretto su ciò che accade nel panorama nazionale ed internazionale; infine, il bisogno di trovare conforto e rifugio dopo un’intensa giornata di lavoro: i primi sceneggiati – da I fratelli Karamazov all’Odissea ai Promessi Sposi – hanno posto le basi della fiction italiana, che Bernabei produrrà in prima persona negli anni della Lux Vide, arrivando anche a vincere un Emmy con il film Giuseppe della serie Le storie della Bibbia.

Non è da tutti trovare la forza per fare fronte alle necessità di far tornare i conti e al tempo stesso soddisfare tutti questi bisogni, spesso confliggenti con la logica del profitto. Questa forza Ettore Bernabei la trovava nella fede cattolica. Una fede che si è dimostrata incrollabile anche davanti ai cambiamenti sociali che la seconda metà del novecento ha imposto all’Italia e al mondo intero. Proprio durante il ’68, lo stesso Bernabei si interrogava nei suoi diari sulle cause che avevano scatenato i movimenti studenteschi: tra motivazioni politiche ed economiche, Bernabei individuava anche una ristretta fascia di giovani che “onestamente vogliono solo cambiare le cose che non vanno nella scuola e nella società”.

Nella sua vita, Bernabei ha fatto tutto quello che era in suo potere per andare incontro a quella “fascia ristretta”. E forse anche i giovani d’oggi vorrebbero un “uomo di fiducia” che faccia lo stesso per loro.

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Dai diari di Ettore Bernabei:

Chiesa, imprenditori e il comunismo della discordia

… Secondo l’usanza, il 3 gennaio 1977 Giulio Carlo Argan, sindaco «rosso» di Roma dal 9 agosto 1976, e il pontefice si incontrano per il tradizionale scambio di auguri. Il colloquio ha toni cordiali ed è preceduto da un corsivo del «Popolo» in prima pagina che ne sottolinea l’alto valore pastorale. Ma le cose non stanno esattamente così…

L’udienza si svolge in parte a porte chiuse per quaranta minuti, ben oltre i venti preventivati dal cerimoniale.

Non si tratta di un pacifico scambio di idee, come riferisce una fonte ben informata, Giovanni Benelli: «L’udienza concessa dal papa ad Argan è stata piuttosto burrascosa. Il Vaticano avverte che c’è in atto una manovra della sinistra comunista per accattivarsi a poco prezzo la simpatia dei cattolici».

Per Bernabei è questa la ragione per cui Argan, essendogli stata rifiutata udienza per ben sei mesi, «cominciò a precipitarsi» alle messe del cardinal vicario e in seguito «andò in piazza di Spagna l’8 dicembre e alla messa del papa il 1° gennaio». Dedizione tutta apparente.

In realtà la politica della nuova giunta di sinistra «è però di soda ostilità alla Chiesa». Gli indizi sono evidenti. Da luglio in poi, poco prima che entrasse in carica la giunta Argan, «a Roma sono stati bloccati tutti i permessi per la costruzione di nuove chiese accampando pretesti addirittura risibili».

A dicembre, inoltre, al centro camaldolese del Celio viene comunicato lo sfratto da alcuni locali dove le suore si dedicano all’assistenza «dei più diseredati e sofferenti». Il papa, durante l’udienza, protesta apertamente con Argan, il quale replica affermando che gli uffici del comune gli avevano comunicato che la situazione «andava regolarizzata».

Il pontefice insiste e il suo giudizio verso il primo cittadino è molto severo: la nuova giunta di sinistra «sta instaurando un clima di sostanziale ostilità […] dietro atti di formale cortesia». Per Benelli, addirittura, «Roma sta così avviandosi a quella situazione instaurata in Emilia dove – secondo una documentazione del cardinale Parra – la Chiesa vive in condizioni simili a quelle dei paesi oltrecortina soprattutto per quanto riguarda le scuole tenute da religiosi e gli ospedali».

La colpa di questo clima, rileva il diarista, sta nell’«equivoco» del governo guidato da Andreotti, che accetta l’appoggio, sia pure indiretto, dei comunisti. E l’inquietudine monta in alcuni esponenti degli alti ranghi ecclesiastici.

La strategia di compromesso storico del partito di Berlinguer, in effetti, può avere sviluppi imprevedibili: «Si parla del dissenso sovietico e della possibilità che Berlinguer faccia mosse clamorose di autonomia da Mosca», appunta il 12 gennaio, appoggiandosi magari a una fronda del dissenso sovietico.

Pochi giorni dopo, il 16 gennaio, Bernabei raccoglie le preoccupazioni di un altro massimo esponente della gerarchia ecclesiastica, monsignor Giuseppe Caprio, sostituto alla segreteria di Stato della Santa Sede: «Il sostituto torna a dire che così non si può andare avanti e che siamo già oltre i limiti di sicurezza»…

Anche il grande mondo imprenditoriale è in fermento: c’è preoccupazione e si guarda con diffidenza a qualsiasi possibile avvicinamento al Partito comunista. A Torino Bernabei fa colazione con Cesare Romiti, amministratore delegato Fiat, e Luca Cordero di Montezemolo, all’epoca responsabile delle relazioni esterne.

Tutti «sono abbastanza fermi nel dichiararsi contrari a esperimenti di maggioranze con i comunisti». Ma anche «poco propensi a cambiare Andreotti», nonostante il suo governo sopravviva con la loro astensione (17 gennaio). Fanfani è della stessa opinione, scrive Bernabei il 19 marzo. Anzi, «pensa che in questa situazione può essere pericoloso cambiare il governo di Andreotti anche se ridotto alla impotenza. Vediamo quello che succede nel logoramento dei comunisti invischiati nell’attuale situazione».

Del resto Fanfani, all’epoca presidente del Senato, non vuole neanche fare la parte di «uno che insidia i governi in vista di sue revanche». Cambierà idea da lì a pochi mesi. Ma intanto, nonostante dissapori e rumori di fondo, il mondo cattolico ha deciso di affidarsi ancora al sapiente trasformismo di Andreotti…

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