Alla vigilia del G20 Agricoltura, tenutosi questo fine settimana a Firenze, non erano mancate voci sul fatto che in quella sede così prestigiosa si potesse anche discutere di Denominazioni di origine protette (Dop). Ipotesi istituzionalmente impraticabile, certo dettata a seguito della recente e controversa richiesta della Croazia alla Ue di riconoscere la Dop al loro vino da dessert Prosek.
Un nome, cioè, che non appartiene a una cultivar scientificamente catalogata; che non è una denominazione di vitigno; e che solo da qualche tempo è salito alla cronaca del commercio domestico croato. Fattori che rivelano la volontà del proponente di dare maggiore visibilità a un proprio vino che nel contenuto non ha nulla da spartire con le bollicine del ben più famoso e affermato Prosecco made in Italy. E nominalmente disturba non poco in termini di costi economici e sociali alla denominazione riservata al vino prodotto nelle terre delimitate delle Venezie.
Al G20, inaugurato dal ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli, si è giustappunto discusso di altro, come ben sottolineato dalla vice Segretario dell’Onu, Amina Mohammed, riferendosi alla fame nel mondo, alla sostenibilità, alla sicurezza alimentare: sfide globali che “si possono e si debbono combattere con interventi e azioni solidali tra i popoli”.
D’obbligo l’intervento del Commissario all’Agricoltura dell’Unione europea, il polacco Janusz Wojciechowski, che ha elogiato il modello di sviluppo dell’agricoltura italiana fatto di piccole e medie imprese a prevalente conduzione familiare che, pur avendo una estensione di appena 11 ettari per azienda rispetto a 16 della Ue, ha un indice di produttività molto elevato.
Un encomio a tutto tondo all’Italia, quello di Wojciechowsk, ma non una parola sulla proposta croata, che proprio il suo ufficio di Commissario ha ritenuto “conforme ai requisiti di ammissibilità e validità». Dando in questo modo via libera alla prossima pubblicazione in G.U. e, quindi, all’istruzione di un tavolo Ue per la discussione di merito.
Discussione che vedrà l’Italia su posizioni di netta bocciatura, come ha già confermato il ministro Patuanelli. Il quale ha fatto sue un po’ tutte le considerazioni e doglianze espresse in modo corale da professione, società civile, economica, politica e singoli imprenditori nazionali. Tutti fermamente convinti della valenza dell’istituto delle Dop e della loro tutela da ogni tipo di abuso da parte sia di paesi terzi, sia della stessa Unione.
Il dibattito a Bruxelles, salvo possibili ripensamenti dell’ultima ora, ci sarà e già lascia ipotizzare un braccio di ferro che potrebbe provocare scossoni non marginali negli equilibri tra i 27.
In questi frangenti le alleanze tra partner si fanno e si disfano anche per opportunità momentanee, cosa che potrebbe finire per sviare la procedura e minare il rispetto della normativa. Magari prendendo a pretesto riferimenti di poco conto ammantati dal velo della storia. Come può essere una delle tesi correnti che fa risalire il termine Prosek al tempo dei Dogi veneziani.
Che i Veneziani abbiano per secoli avuto un peso importante nei rapporti con i popoli dell’Est europeo, e non solo quelli, è cosa nota. Ma dire che il Prosek esista dal tempo dei Dogi è tutt’altra cosa. Una tesi curiosa che sa tanto di favola, mancando al momento di una sia pur minima parvenza del vero.
Quella parvenza del vero che, al contrario, gli stessi vignaioli veneti e friulani tra il 2003 e il 2005 dimostrarono con carteggio e atti storici formali alle autorità comunitarie, in occasione del braccio di ferro contro l’Ungheria sulla difesa della denominazione Tocai. Contesa poi chiusa con il riconoscimento della Dop ai magiari, in virtù del toponimo di Tokaj. Che nel caso del Prosecco è fedelmente rapportato alla cittadina Prosecco sulle alture del Carso italiano.
Mario Fregoni: Di Prosek non c’é traccia
Il ricordo di quella vicenda di inizio millennio, mi è parso buon motivo per chiedere lumi sulla questione Prosek-Prosecco al proff Mario Fregoni, già docente di Vitivinicoltura alla Cattolica di Piacenza, presidente onorario dell’Organisation Internationale de la Vigne et du Vin, autore di pubblicazioni in materia e ampiamente considerato tra i massimi scienziati della storia viticola mondiale.
Ebbene, la risposta di Fregoni in esclusiva per TerraNostra non dà adito a libere o curiose interpretazioni, quando afferma che “non esiste alcun documento storico che attesti la paternità dei Veneziani nella commercializzazione del vino Prosecco in nessun luogo da loro controllato. Il Prosecco semplicemente non esisteva, mentre è certo che i Veneziani hanno creato il mito della Malvasia, che prese il nome dal porto greco Monenvasia”.
Di più. Fregoni racconta che da tempo immemorabile i vini sono citati nella storiografia “con il nome del luogo di produzione. Chiaro è l’esempio del Falernum, in epoca romana”. Mentre in epoca più recente, Sante Lancerio, considerato una sorta di sommelier del Papa, “nel libro del 1559 I vini d’Italia giudicati da Paolo III Farnese, scrive di una serie di vini elencandoli con il nome del luogo geografico di produzione”. E ancora. Andrea Bacci nell’opera magistrale De Naturali Vinorum Historia del 1595, “descrive una lunga serie di vini denominandoli con il locus d’origine”.
Insomma, tutti riferimenti che testimoniano una sorta di Denominazione di origine ante litteram, in anticipo di secoli sulla legge delle Doc dei vini italiani (1963) e ancora prima in Francia, l’Appelation d’origine contrôlée (1935). Leggi che hanno poi portato ai Regolamenti Ue sulla tutela delle Denominazioni di origine protette.
Normative che nel caso del Prosecco considerano basilare il toponimo Prosecco. E in quanto al vino, la prima citazione – osserva Fregoni – risale “a un articolo del 1773 a firma Cosimo Villafranchi in cui si fa riferimento a un elenco di varietà di viti coltivate nella zona di Conegliano. Mentre dal punto di vista ampelografico il Prosecco viene citato per la prima volta ne L’Ampelografia Italiana del 1879-1890 del ministero dell’Agricoltura, nella quale si descrivono 28 varietà di vite”.
E ancora sotto il profilo varietale, “Pierre Galet, ampelografo rinomato in tutto il mondo, nel Dictionnaire enciclopèdique des cépages del 2000 riporta circa 10mila varietà internazionali, fra le quali il Prosecco tondo di Treviso, detto anche Glera nel Friuli, e il Prosecco lungo ritenuto pressoché scomparso in Italia.
“Di Prosek non c’è traccia. Tutto ciò mi porta a dire – conclude Fregoni – che il Prosecco è una varietà italiana, cosa che nessun ampelografo nel mondo mette in dubbio”.
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