di Giulia Maria Basile
Eccoci all’ultima tappa del viaggio in Una Tempesta dal Paradiso, la mostra allestita a Villa Reale dalla GAM di Milano fino al 17 giugno, in collaborazione con il Guggenheim di New York. Dove a fare da collante tra Oriente e Occidente, tra passato e futuro è l’arte, con tutta la potenza espressiva di artisti poliedrici che toccano temi al centro della scena contemporanea globale.
E se troppo spesso si sorvola sul fatto che il Medio Oriente sia teatro di mutamenti radicali che hanno inizio e impatto anche altrove, le opere qui esposte si fanno invece carico di una messa in discussione precisa e consapevole di ogni stereotipo.
Da questo presupposto è partito Kader Attia per l’installazione Senza titolo-Ghardaïa (2009), che della città algerina è un modello in scala composto interamente di couscous, l’alimento principale della cucina nordafricana ormai consumato ben oltre la zona d’origine. L’opera è presentata con a corredo due stampe fotografiche in cui sono ritratti Le Corbusier e Ferdinand Pouillon, considerati i padri dell’architettura moderna occidentale, e una copia del certificato con cui l’Unesco ha dichiarato Ghardaïa sito patrimonio dell’umanità.
Ciò su cui intende puntare l’attenzione l’artista è la rielaborazione degli elementi tradizionali della regione che i due architetti hanno perseguito, senza che però esplicitassero la fonte di ispirazione delle loro idee. E, questo, persino per quanto riguarda le proposte di Le Corbusier per urbanizzare l’Algeria stessa negli anni Trenta e Quaranta del Novecento.
Attia, nato e cresciuto a Parigi ma di origine algerina, vuole far riflettere su come l’esperienza coloniale – il Paese è stato colonia francese dal XIX° secolo al 1962 – abbia avuto anche un’influenza all’inverso di quello che è l’immaginario comune. Infatti, Attia sottolinea che “l’assenza di citazione è assenza di riconoscimento” ed evidenzia la costante per cui “l’umanità non inventa oggetti, ma ripara e adatta modelli già esistenti”.
Per offrire un punto di vista sulla realtà mediorientale meno consueto di quello a cui i mass media ci hanno abituato, il libanese Ali Cherri presenta la serie Paesaggi Tremanti (2014-2016). Si tratta di stampe a inchiostro di mappe aeree di Algeri, Damasco, Erbil, Teheran e la città santa islamica della Mecca, con le quali Cherri intende far riflettere sulle corrispondenze tra danni dell’uomo e non che caratterizzano l’aerea.
L’artista ha scelto di rappresentare le città situate su faglie attive, evidenziate con dei segni rossi, rilevandone il parallelo di terremoti geologici e turbolenze politico-sociali che imperversano sulla regione. Non manca inoltre un richiamo alla storia della mappatura, una pratica le cui origini risalgono al mondo arabo come molte delle conoscenze e degli strumenti scientifici di cui la cultura occidentale si è poi appropriata.
Un’altra opera che indaga il territorio con la raffigurazione del suo cambiamento è Disarm 1-10 (2013) di Ahmed Mater: dieci fotografie in lightbox che ritraggono il paesaggio montuoso che si estende intorno alla Mecca, a loro volta parte della serie iniziata nel 2012 Desert of Pharan, l’antico nome dell’area.
Nato a Tabuk in Arabia Saudita, Mater è un artista dalla formazione medica che nella ricerca espressiva interseca interessi scientifici e culturali. Il primo passo per realizzare questa sequenza fotografica è stato chiedere al governo il permesso di documentare lo sviluppo architettonico e immobiliare della zona, da un decennio soggetta a un rapido quanto crescente fenomeno di gentrificazione.
È infatti risaputo che la Mecca ospiti l’annuale pellegrinaggio, Hajj, al sito sacro più importante dell’Islam; ciò che non è noto, invece, è che alla città vecchia si stia sostituendo la costruzione di alberghi di lusso e moschee moderne. Un esempio di quanto il paesaggio urbano e l’assetto geopolitico si stiano trasformando è la Makkah Royal Hotel Clock Tower, il secondo grattacielo più alto del mondo.
Inoltre, Mater fa riflettere su quanto la globalizzazione si leghi alla militarizzazione che coinvolge sempre di più la città sacra. Non per niente queste stesse fotografie sono state scattate dalla cabina di pilotaggio di un elicottero militare saudita, che sorvolava la zona alla ricerca di pellegrini non autorizzati.
Una Tempesta dal Paradiso porta con sé una ventata di obiezione e riconsiderazione storica e artistica, di cui la cultura non finirà mai di abbeverarsi. E non si tratta soltanto di interculturalismo e confronto di idee, e nemmeno si esaurisce il senso dell’arte in quello che è un rimescolamento di valori e realtà rappresentate. Ciò che davvero aiuta a fare l’arte è aprire i confini della cultura stessa, mantenendo coscienza di quello che è il tracciato passato ma rivolgendosi sempre al futuro.
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Le esclusive di “TerraNostra” – Dal Guggenheim alla GAM, viaggio nell’arte contemporanea del Medio Oriente (3/3 Fine) – I precedenti articoli sono stati pubblicati il 29 e 30 aprile 2018.
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