I vini della riscossa? Altroché. In casa Tasca d’Almerita, azienda vitivinicola siciliana, il rilancio o rinnovamento che dir si voglia è un tema costante dalla sua fondazione, nel 1830.
La rivoluzione enologica siciliana firmata da Tasca d’Almerita
Basti dire dell’essere stata tra le prime cantine italiane a commercializzare, già nei primi decenni del secolo breve, vino in bottiglia con il marchio storico Regaleali. O, per restare più vicini all’oggi, l’avere aperto già nei primi anni del terzo millennio all’agricoltura “verde”, investendo nel progetto SOStain per la riconversione a coltura biologica molte centinaia di ettari nel cuore di Trinacria.
Ora però si parla di altro. Si parla di progetti e nuovi modelli nel fare impresa che sembrano avere le fattezze di una rivoluzione di sistema. Talché è lo stesso amministratore delegato Alberto Tasca (nella foto, al centro con il padre Lucio e il fratello Giuseppe) che non esista a utilizzare concetti apparentemente estremi all’agricoltura, per dire di una “rivoluzione enologica che incarna a tutto tondo” quanto di nuovo è stato fatto nelle ultime decadi in Sicilia.
Di questi progetti e strategie operative se ne saprà di più in occasione del VinItaly, che apre domani i battenti a Verona, quando presumibilmente i Tasca – dal presidente Lucio ai figli Alberto e Giuseppe – vorranno illustrare direttamente il cambiamento in atto.
Per ora si sa che il nuovo corso parte da basi solide, come lascia intuire il consuntivo 2017 – fatturato a 19 milioni di euro (+4,4%), export al 53% e mercato Italia in crescita del 4% – e si prefigge di coinvolgere nel cambiamento tutto ciò che attiene alla gestione delle cinque tenute agricole che compongono la proprietà Tasca d’Almerita.
La logica? È ancora l’amministratore delegato ad anticiparla, sostenendo che le tenute in questione (Regaleali, Sallier de la Tour di Monreale, Tascante sull’Etna, Motia e Capofaro di Salina (che accorpa anche la Locanda & Malvasia di Capofaro, struttura ricettiva della rete Relais % Chateaux) sono “espressioni territoriali portatrici di un genius loci e di una specifica vocazione enologica”. Espressioni su cui si intende investire mettendo in bilancio più autonomia gestionale e maggiore aggregazione con il territorio.
Marramiero e l’infrarossi che selezione la materia prima
Basta una telecamera a raggi infrarossi dal nome X-Tri per fare un grande vino? Certo che no. È però anche certo che le tecnologie non solo aiutano a crescere, ma senza ricerca e tecnica di vini di qualità ce ne sarebbero ben poco in giro.
Ebbene delle cinquantamila e una di cantine che operano lungo lo Stivale non sono molte ad averla in dotazione. Questione di costi, probabilmente. Tra quelle che l’hanno adottata c’è l’azienda agricola Marramiero di Rosciano, Pescara, presieduta da Enrico Marramiero (nella foto), la cui famiglia vanta interessi anche in altri settori industriali.
L’impegno agricolo di questa famiglia ha preso il via sul finire del secolo scorso ad opera di Dante Marramiero, padre di Enrico. Ma sono bastati pochi lustri perché l’investimento divenisse una storia importante, come lasciano intuire i 60 ettari di vigneti, una produzione di mezzo milione di bottiglie di vini autoctoni abruzzesi – dai più famosi come Trebbiano e Montepulciano fino al Pecorino – per una buona metà destinati all’export.
Dati significativi che si spiegano anche per la sorprendente capacità di questo network di proporre vini dai nomi celestiali (Anima, Altare, Incanto, Inferi …) ma che hanno subito impressionato non poco “nasi” italiani ed esteri. Come confermano i diversi attestati internazionali, non di meno la medaglia d’oro assegnata al Montepulciano d’Abruzzo Cerasuolo del VinItaly di qualche anno fa.
Se produrre qualità ha contribuito a fare crescere business e immagine dei vini Marramiero, va da sé che all’origine c’è la determinazione della proprietà di non fare mancare il supporto decisivo degli investimenti, quantificati dal presidente Marramiero in circa sei milioni di euro negli ultimi cinque anni.
Investimenti diretti sia nel consolidare il perimetro dei cespiti fondiari, sia nell’adozione di nuove tecnologie volte a ottimizzare il processo produttivo in vigna e in cantina. Senza trascurare la ricerca che ha portato al lancio di nuovi vini tra cui uno spumante classico da uve di vitigni autoctoni abruzzesi.
La telecamera a raggi infrarossi in cantina è uno di questi investimenti a cui il titolare dell’azienda ha dato importanza. Ed è proprio lui a spiegarne la motivazione, partendo dal fatto che trattasi di una tecnologia che permette di scoprire ciò che l’occhio umano non è in grado di fare.
Viceversa, quando l’uva fresca di vendemmia arriva in cantina, lo strumento all’infrarossi viviseziona uno per uno i grappoli. Nulla sfugge al caso. E qualora i chicchi fossero attaccati da muffe o altri accidenti del genere, la macchina espelle automaticamente l’uva contaminata. E lo fa prima che il grappolo finisca nella tramoggia (o trimodia) per la pigiatura.
“Il risultato – conclude l’imprenditore abruzzese – è che grazie a questa tecnologia noi siamo certi di lavorare solo materia prima perfettamente sana, e non abbiamo di che temere sulla qualità finale della nostra offerta”.
Le inchieste di “TerraNostra”: I Vini della Riscossa/2
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