La terra è secca e le zolle tra le mani si sbriciolano come biscotti. Sono mesi che nella campagna tutt’intorno a Montepulciano e nella vicina Umbria non piove. A Montalcino é da gennaio che non cade goccia, di quelle che penetrano in profondità. La penuria idrica è evidente e preoccupante, per di più generalizzata a molti altri territori della Penisola.
Eppure nella terra del Sangiovese grosso, del Prugnolo gentile, del Sagrantino i filari di vigna che si perdono in lontananza sono belli rigogliosi, con i grappoli d’uva già formati e sani e foglie di un verde assai intenso. Segno inequivocabile di appartenenza a una terra di vini rossi ben generosa, che ha finora richiesto scarso utilizzo di prodotti di sintesi e, dunque, reso condizioni agronomiche a basso rischio di impatto ambientale (nella foto il Relais Villa GRazianella, sede di Tenuta del Cerro).
La vendemmia però è ancora lontana. E tanto basta per restare vigili, continuando a monitorare giorno dopo giorno lo stato di fatto. Come fa Franco Fierli, agronomo e responsabile attività vitivinicole di Tenute del Cerro – realtà composita di cinque aziende agricole per 4.300 ettari di cui 300 a vigneti tra Umbria (Còlpetrone, Montecorona) e Toscana (Fattoria del Cerro, La Poderina, Monterufoli) – che commenta: “Da decenni non vedevo un’annata così calda e secca. Certo, nel 2012 abbiamo avuto temperature elevate, per non dire dell’estate caldissima del 2003, ma né l’uno né l’altro sono stati anni siccitosi come questo 2017”.
Il problema di oggi, infatti, è proprio la carenza di piogge. In alcune zone dell’alta Maremma la distribuzione di acqua è razionata. Nella campagna ilcinese tra novembre e marzo sono caduti appena 400 millimetri di acqua: la metà rispetto alla media di 800 delle annate normali. Insomma, un caldo-secco anomalo per giunta fuori stagione, che “ha finito per forzare il ciclo biologico delle viti, accorciando le fasi fenologiche tra fioritura e allegagione e penalizzando la formazione dei chicchi”.
Il meteo ad ora non ha causato danni reali. Per cui, quand’anche i grappoli fossero più spargoli, il risultato potrebbe essere quello di avere un’uva in pianta più ricca di sostanze organolettiche. Preludio a un’annata di vini superbi e di migliore qualità. Della serie ‘non tutto viene per nuocere’?
“Beh, non è proprio così – gioca di rimando Fierli -. Perché se è vero che le viti godono di buona salute, lo dobbiamo alla terra generosa e agli interventi di gestione del verde che abbiamo finora fatto in vigna”. Il risultato è il bel colpo d’occhio che spazia su e giù per le valli tutt’intorno Montepulciano, dove in località Tre Berte, sulla statale per Chiusi, ha sede amministrativa Tenute del Cerro, già SaiAgricola e, dal 2012, di proprietà del gruppo assicurativo Unipol.
È infatti sufficiente inoltrarsi per tratturi e strade bianche del circondario per accorgersi di come cambia lo stato vegetativo di una vigna ben curata, da un’altra maldestramente assistita. A volte si tratta di piccole differenze che l’occhio urbano non coglie, ma non sfuggono al nostro esperto agronomo. Il quale, per dare più forza all’assunto qualitativo, si rifà a una tesi alquanto comune, tuttavia spesso riportata solo a metà: quella del vino buono che si fa prima di tutto in vigna.
Dice a proposito Fierli: “Che la qualità del vino inizi dal campo è un dato assoluto. Ma non è tutto. Bisogna anche dire cosa si fa in vigna, come si interviene nella gestione delle piante, quali pratiche permettono di preservare lo sviluppo del grappolo da attacchi che potrebbero nuocere alla salubrità dell’uva”. E poi c’è il capitolo cantina, che richiede non meno dosi di attenzione. Talché l’enologo di punta delle Tenute Raffaele Pistucchia, evidenzia l’approccio generale dell’impresa nel produrre vini “che esprimano al meglio l’identità del territorio di provenienza, che il consumatore deve potere apprezzare e farne uso”.
Vini che per certi versi sono avvantaggiati rispetto ad altri, se non altro per la notorietà di alcune denominazioni di riferimento (Brunello di Montalcino, Nobile di Montepulciano, Sagrantino di Montefalco), ma anche per proposte più recenti (Doc Suvereto e Val di Cornia), perimetri identitari della tenuta di Monterufoli, non molto distate da Bolgheri: in tutto una quindicina di ettari di vigna su oltre mille di bosco ceduo, regno di fauna selvaggia protetta e flora incontaminata, di per sé sinonimi di eco sostenibilità. Tutto quel che ci voleva per i responsabili tecnici di Tenute del Cerro. I quali, avvalendosi della consulenza di un enologo di fama internazionale, qual è Riccardo Cotarella (nella foto sotto)), hanno scelto di aprirsi gradualmente alla coltura biologica. Iniziando appunto da Monterufoli.
Il progetto, ancorché nella fase iniziale, è uno dei tanti su cui direzione e proprietà hanno deciso di investire. Tale è stato il lancio, in occasione di VinItaly 2017, del vino bianco Vermentino in purezza Monterufoli che, con il Grechetto di Còlpetrone, è un primo assalto al monolite fatto di vini rossi, certo tra i più gettonati in Italia e oltre. E tale è l’adesione al progetto Wine research team (Wrt) di cui sono promotori Cotarella, studiosi e ricercatori dell’Università La Tuscia e il prof Attilio Scienza dell’Università di Milano.
Il progetto Wrt, complesso nella sua formula, in sintesi è una finestra aperta messa a disposizione di qualificate imprese del settore, al fine di monitorare e condividere la ricerca in vigna e in cantina di tecniche sperimentali volte all’approfondimento della sostenibilità ambientale e tutela del patrimonio varietale nazionale. Esattamente ciò che è servito a Tenute del Cerro di affacciarsi al mondo dei vini bianchi. Come pure approfondire la propria appartenenza al monolite dei rossi che, nel caso del Sagrantino, per citare l’uva più ricca di polifenoli al mondo e per ciò stesso difficile da gestire, significa rivedere protocolli produttivi che esaltino ancor più gusto e versatilità di un vino che ha ancora molto da dire.
Tutti propositi finalizzati alla crescita che la proprietà di Tenute del Cerro ha deciso di sostenere, dedicando attenzione e risorse. Tale è il piano triennale di sviluppo 2017-2019 da oltre 20 milioni di euro che il direttore generale Antonio Donato, nominato poco più di un anno fa, ha messo a punto e condiviso dalla proprietà. Investimenti finalizzati a migliorare le potenzialità della filiera viticola, adottare tecnologie innovative in cantine se non addirittura farne delle nuove, attuare politiche commerciali consone ai diversi canali di mercato domestico e all’export. E perché no, fare acquisizioni nell’ottica di dare più spazio all’offerta di vini bianchi, essendo ora il portafoglio composto per oltre il 95% di vini rossi.
Insomma, quel che si dice di un progetto strategico, già avviato in alcune parti essenziali, il cui obiettivo è dare a Tenute del Cerro il ruolo che spetta a un’impresa con risorse e potenzialità di crescita, prima d’ora mai considerate come tali.
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Le inchieste di “TerraNostra”: Tenute del Cerro/1 continua
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