Passeggio per Torino sotto un bel sole tiepido di fine settembre, e ritrovo una città diversa da come la immaginavo. La ricordo infatti grigia, chiusa, scostante, mentre ora la scopro accogliente, aperta, più viva che mai.
Ci ho abitato per qualche mese che ero ancora studente. Sono passati più di quarantacinque anni e già con le prime luci del giorno, nella pensione della centralissima Via Garibaldi i rumori assordanti dei tram lasciavano poca immaginazione ai sogni.
L’aria era pesante e la fuliggine dei camini aveva oscurato i colori originali di monumenti e abitazioni. Oltre Porta Palazzo, il quartiere più vicino, una serie di palazzoni anonimi, meta per tanti emigranti con valigia di cartone provenienti dal Sud, dal Veneto e dalle valli del Nord: manodopera necessaria per la Fiat che sfornava autovetture come non mai. I torinesi più acidi, però, rispondevano appendendo al portone cartelli che erano una pugnalata alla schiena: “Non si affitta a meridionali”.
In seguito ci sono tornato più volte. Visite lampo di lavoro, per cui non c’era molto spazio per un approfondimento della città. Cosa che invece mi è capitato ora in due giorni trascorsi al recente Salone del Gusto-Terra Madre che quest’anno proponeva, per la prima volta nella sua storia ventennale, una versione “diffusa” in più punti della città.
L’evento che porta la firma di Carlo Petrini e della squadra di Slow Food è considerato unico nel suo genere nel fare mercato e promuovere cultura alimentare. Mette sul piatto temi fondamentali ma non proprio comuni come la biodiversità del cibo buono-sano-giusto, le pratiche di coltivazione, i prodotti a rischio, la tutela dell’ambiente, il rispetto della terra. Vale a dire temi universali, per discutere dei quali menti eccelse si danno appuntamento ogni due anni a Torino.
L’occasione mi dà lo spunto per dire dell’effetto combinato che ho provato passeggiando, si fa per dire, per il Salone “diffuso” che, si stima, abbia portato nel capoluogo piemontese tra 1,5 e due milioni di visitatori.
Tanti per un appuntamento di questo genere, la cui formula “diffusa” studiata a tavolino un successo lo ha sicuramente centrato. E sta in quel vedere centinaia di migliaia di persone al giorno giunte da ogni dove per guardare, annusare, degustare, acquistare mercanzie e specialità che altra gente, proveniente da paesi vicini e lontani, ha portato ed esposto su mille bancarelle sparse per la città.
Ecco intere famiglie, scolaresche, giovani in gruppo e scontatamente chiassosi, singoli e coppie che vagano tra i viali del Parco del Valentino lungo il Po, e i prati del Castello dai tipici pinnacoli alla francese cosparsi di corpi distesi al sole.
Forte la voglia di imitarli, ma il tempo è sempre tiranno e molto altro c’è da vedere al di là di Corso Vittorio Emanuele II°, dove l’intenso traffico di auto nemmeno lo percepisci, tanto è ordinato.
Eccomi allora tra strade, piazze e giardini su cui si affacciano palazzi storici, spettatori inanimati dell’Unità d’Italia; ecco i grandi musei del Risorgimento di Palazzo Carignano e quello Egizio, unico in Europa per ricchezza di materiale; ecco le vetrine degli antiquari che si susseguono nella silenziosa Via San Massimo con l’omonima chiesa che merita una visita, prima di arrivare nei giardini Balbo e Cavour gremite di mamme, nonni e frotte di bimbi in perenne rincorsa tra loro.
Visione d’insieme che conferma la metamorfosi di Torino città aperta e accogliente. Dove tutto è cominciato con le Olimpiadi invernali del 2006, quando sotto la guida di una occhiuta quanto garbata dirigente d’azienda, la Signora Evelina Christillin, sono stati fatti investimenti importanti per oltre 6 miliardi di euro spesi per lo sport, e che hanno fatto bene all’immagine dell’Italia e ancora meglio alla città ospitante.
Inizio di una nuova era a cui le amministrazioni comunali che si sono avvicendate da allora non hanno mancato di sostenere. E la sensazione, che è un augurio, che anche la nuova appena insediatasi possa continuare a farlo.
La nuova Torino è troppo preziosa e bella, e può dare molti spunti utili al resto d’Italia. Tant’è che nonostante la Fiat abbia trasferito il proprio quartiere generale altrove, in città si respira aria buona. Cosa che è ancora più piacevole standosene seduti al bar e sorseggiare un caffè o gustando una cioccolata, che da queste parti non lasciano l’amaro in bocca.
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