Consumi di pellet in forte crescita, ma serve una politica boschiva più efficace

L’Italia non è solo grande consumatore e acquirente di petrolio. È anche il maggiore importatore di pellet (1,65 milioni di tonnellate) oltre che consumatore (3 milioni di tonnellate) di questo biocombustibile pressato ricavato dal legname, o meglio dalla segatura da legname e utilizzato per riscaldare ambienti forniti di apposite stufe.

Il suo utilizzo, ancorché ecologico e a basso impatto ambientale, risulta essere più vantaggioso economicamente rispetto ad altre stufe a legno e ad altri sistemi di riscaldamento a metano, gasolio o gpl.
Si stima che nella Penisola siano oltre due milioni le famiglie con 2,7 milioni di impianti attivi per il 60% collocati nelle regioni settentrionali. La loro diffusione però tende a crescere anche altrove, come dimostra la recente inaugurazione in Molise di un impianto per la produzione di pellet da legno vergine. Ma ne servirebbero molti di più, cosa possibile a patto che aumentassero anche le aree destinate a boschi e foreste.
Sono alcune delle indicazioni emerse dall’International Forum Pellet tenutosi oggi a Verona, alla vigilia della tre giorni “Progetto Fuoco” in calendario da domani a domenica a Veronafiere e dedicato, appunto, al riscaldamento da biomasse legnose. L’appuntamento veronese, unico nel suo genere in Italia, è giunto alla decima edizione e conta la presenza di 750 espositori, di cui 300 da 38 paesi esteri.

Il mercato nazionale del pellet viaggia intorno a 3 milioni di tonnellate annue, seguita da Germania (2 milioni), Svezia, Francia e Austria. Un consumo che, spiega Annalisa Paniz dell’European Pellet Council, “consente di rispettare gli obiettivi della Conferenza di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, in quanto il pellet emette 10 volte meno anidride carbonica rispetto alle fonti fossili; usando poi pellet certificato, si riduce da 2 a 4 volte l’emissione di polveri sottili rispetto al pellet normale”.

Per tutti questi motivi, “la produzione di pellet certificato – ha spiegato Paolo Perini del Gruppo produttori e distributori di pellet – necessita di crescere. Ma servono nuovi impianti, una politica più sensibile e un miglior sfruttamento della riserva boschiva, dato che i 9,1 milioni di ettari di foreste ogni anno aumentano appena di 32,5 milioni di metri cubi”.

  • arthemis |

    @ Daniele:

    scommetto che se dici ai tuoi vicini che sono causa dell’inquinamento che si misura fino a Milano dicono che sei pagato dalle multinazionali del petrolio che ostacolano le rinnovabili 😉

    sulle pompe di calore: hanno tolto la progressività della tariffa elettrica anche per questo motivo, ma i ‘rinnovabili’ hanno detto che si incentiva lo spreco…

  • Daniele |

    Il pellet sarà anche “ecologico” dato che la co2 che emette era stata assorbita dagli alberi usati per crearlo, ma di certo inquina, specie per quanto riguarda le polveri sottili di cui tanto si parla.
    Per non parlare dell’odore di fumo che appesta l’aria, neanche fossimo nel ‘700.
    Vivo in una zona di villette dove qualche anno fa l’aria era pura. Adesso con la diffusione del pellet è pulita da fine marzo a ottobre, d’Inverno di sera si sente puzza di fuma per via di queste stufe.
    Il governo dovrebbe incentivare le nuove caldaie a condensazione e le pompe di calore, oltre a spingere sulle ristrutturazioni per rendere le case più isolate termicamente. Gli incentivi attuali non sono mali ma “spalmarli” su 10 anni ne riduce molto l’appetibilità.

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