Vino, nuove etichette crescono e danno linfa a un settore da 271 milioni di hl

Valtellina vignetiScende a 271 milioni di ettolitri la produzione mondiale di vino stimata per quest’anno dall’Oiv, l’Organizzazione internazionale della vite e del vino cui aderiscono un po’ tutti i paesi produttori. Una diminuzione del 6% rispetto ai 287 milioni di hl del 2013 causata principalmente dalle bizze del meteo che ha colpito nei mesi passati le principali aree viticole del Mediterraneo, Italia e Spagna in testa, con un taglio del 15 e del 17%, in parte compensato da un incremento produttivo del 10% della Francia.

Ciò detto, il mondo del vino prosegue il suo normale corso, con le imprese che in questo scampolo di fine 2014 non rinunciano, com’è normale che sia, a portare sulla scena mercantile le loro ultime creazioni. Segno inequivocabile di aziende dinamiche che, nonostante le crisi, continuano a investire. E a volte lo fanno coinvolgendo entità organizzative, produttive e formative apparentemente distanti per obiettivo, ma non per questo disinteressate. Anzi.

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   “Sciùr”, il Signor vino della Valtellina

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Sciur il vino di Ninmo Negri (Giv)Un esempio di questo tipo di coinvolgimento trova forma nel recente progetto della vitivinicola Nino Negri di Chiuro, in Valtellina, che ha lanciato l’etichetta “Sciùr” : nome che non pesca nelle fredde acque del Tamigi (sure – schùur – sicuro), né nasce per fare il verso all’idioma meneghino del “Signore con i danée”, ma è invece l’acronimo delle iniziali di cinque aggettivazioni – sostenibile, concreto, innovativo, unico, responsabile – utili per definire le peculiarità di un prodotto “buono da bere e buono da pensare”, come recita il claim della casa valtellinese.

Una maison di antico blasone, oggi del Gruppo italiano vini, che per l’occasione ha sviluppato un progetto innovativo in quanto a ricerca sul territorio e che ha visto il coinvolgimento di una componente inusuale per il settore, qual è quella di giovani universitari del corso di Strategia del Design in capo al Politecnico di Milano. Giovani provenienti anche da paesi lontani che si sono fatti parte cognitiva del vissuto storico e produttivo della vitivinicoltura “terrazzata” valtellinese (foto in apetrtura di servizio).

Il traguardo è stato tagliato con un vino da uva Chiavennasca (vitigno Nebbiolo) di un rosso intenso, dal corpo elegante e di lungo percorso. Un prodotto del territorio che aspira a volare alto, esempio perfetto di integrazione tra impresa e cultura, tradizione e innovazione. Non a caso il direttore generale dell’azienda Casimiro Maule, nel presentare bottiglia e contenuto nell’aula Castiglione del PoliDesign-Bovisa, ha detto che Sciùr <nasce dalla voglia di promuovere un’enologia innovativa, capace di pre-figurare ciò che si avrà intenzione di fare sul territorio in avvenire>.

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“Dosage zéro noir”, il numero perfetto di Ca’ del Bosco

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Ca del Bosco Dosaggio zeroDalla Valtellina alla Franciacorta la distanza è un battito di ciglia. Ancora meno se l’appuntamento è con il “Dosage zéro noir” riserva 2005, vino dal perlage esuberante che chiude il cerchio magico della serie Vintage Collection di Ca’ del Bosco. Come a dire che anche alla corte del mister presidente Maurizio Zanella “non c’è due senza tre”, dopo le versioni brut e satèn 2001 e 2004. Anche se è vero pure il fatto che per l’azienda della mitica cuvée “Annamaria Clementi” – nome della fondatrice e madre di Maurizio – si tratterebbe del quarto tassello della linea dei millesimati.

Oggi su Ca’ del Bosco, tra le verdi colline stondate di Erbusco, sventola la bandiera del gruppo Santa Margherita e ciò stimola ancor più l’impulso originario della sperimentazione in vigneto e dell’innovazione in cantina, con mosti, vini e prese di spuma da uve che fanno l’orgoglio della casa e danno consistenza all’immagine della moderna enologia made in Italy.

Una fucina di vini dai nobili propositi, anticipatori di modelli produttivi che hanno fatto da battistrada alla crescita della viticoltura di Franciacorta. A cominciare dal “Pinéro” – tra i primi “rossi” della terra di mezzo tra Brescia e il lago d’Iseo -, continuare con la stessa denominazione Franciacorta e arrivare all’oggi con la linea del Vintage Collection concepita per rappresentare ciò che il presidente Zanella definisce la <migliore espressione enologica del metodo Ca’ del Bosco>. E che, vendemmia dopo vendemmia, ha assunto carattere elitario tanto da costituire una fortunata ed <elegante narrazione del terroir> di Franciacorta.

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E non poteva mancare il primo Amarone biodinamico

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amarone-demeterIl nome è tutt’altro che originale, visto che si identifica con la stessa denominazione di origine “Amarone della Valpolicella” (nella foto, alcune etichette di Corte Sant’Alda, riprese dal sito di Slow Food). Il vino in bottiglia, però, si appalesa subito con peculiarità vegetali e minerali tali da renderlo unico tra tanti, trattandosi del <primo Amarone in assoluto prodotto nel rispetto dell’agricoltura biodinamica, fresco della relativa certificazione Demeter>, si compiace di dire Marinella Camerani.

Lei, una signora ammodo che vive la campagna da mattina a sera, è la vignaiola che lo ha prodotto nella fattoria Corte Sant’Alda di Mezzane di Sotto, zona Valpolicella classica, a Nord-Est di Verona: 20 ettari di vigneto e altri 20 frazionati a cereali, ortaggi, bosco, due mucche e altrettanti vitelli liberi al pascolo, nonché animali da cortile e agriturismo annesso. Insomma, una realtà bucolica, si direbbe, dove però tutto è funzionale e funzionante per fare agricoltura biodinamica che non fa ricorso alla chimica e a preparati di sintesi. Ciò vale anche per i vini di Corte Sant’Alda (90mila bottiglie tra bianco Soave e rosso Valpolicella, di cui 10mila di Amarone) frutto della suddetta certificazione Demeter.

<Per noi che facciamo agricoltura biodinamica dal 2003, questa certificazione costituisce un grande traguardo>, dice la signora Marinella. Che per l’occasione è accompagnata da un antesignano della vitivinicoltura biologica e biodinamica, l’altoatesino Alois Lageder, secondo il quale questo tipo di coltivazione <è la più coerente, poiché rispetta le leggi olistiche della biosfera e restituisce alla vite il suo equilibrio naturale>.

Vitivinicoltura biodinamica, dunque. Una cultura di fare vino che prima di tutto è un modello di vita e che oggi vede impegnate in Italia 107 aziende con 950 ettari, più altre 20 con 516 ettari in fase di certificazione. Tra le regioni più rappresentative Toscana, Abruzzo e Alto Adige.

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