A dettare legge in materia di #vinobiologico è il regolamento Ue 203/2012 entrato in vigore il primo agosto di quello stesso anno, in sostituzione del precedente regolamento comunitario 889/2008. Esso contiene le norme relative alle procedure di coltivazione delle viti, vinificazione delle uve, etichettatura e tutta una serie di altre indicazioni con relativi parametri da osservare, senza i quali non è possibile avere la certificazione di #vinobiologico. Quella stessa certificazione che i responsabili di Fieraverona e FederBio (nella foto, il logo) hanno posto come condizione necessaria per quelle aziende che al prossimo VinItaly (6-9 aprile) intendono essere accreditate come espositrici nel padiglione di VinItalyBio.
Qui non scriverò del contenuto di detta normativa che, certo, il lettore avveduto e interessato farà bene a consultare direttamente alla fonte. Riporterò, invece, le motivazioni di imprenditori e analisti scientifici che sono alla base delle scelte culturali e produttive ecosostenbili, ambito a cui appartengono le produzioni di vinobiologico, biodinamico o naturale che sia. Classificazioni che, come già ricordato nei precedenti articoli di “TerraNostra” con i riferimenti al vino naturale della scrittrice Feiring e alle vicende del vignaiolo francese Giboulot, sono oggetto di forti e crescenti attenzione da parte di consumatori e produttori di tutto il mondo. Il che costituisce una indubbia opportunità per il settore vitivinicolo.
Opportunità che non va sprecata e nemmeno lasciata priva di attenzione e controlli. Tanto che il professore Ettore Carpi, direttore del Centro di ricerca Opera dell’Università Cattolica di Piacenza che per l’Unione italiana vini ha condotto uno studio sui programmi di sostenibilità, avverte che, a fronte di una evidente prolificità di iniziative, <vi è il rischio che si generi confusione tra le aziende, che si trovano di fronte a molteplici programmi con obiettivi e modalità operative differenti e di cui non sono chiare l'utilità e le finalità>. Motivo per cui <la confusione può coinvolgere anche il consumatore finale>, stante il fatto che <i prodotti reclamizzati con una terminologia appartenente al mondo della sostenibilità (bio, naturale, sostenibile, eco-compatibile) non sempre esplicita il valore aggiunto di un vino realizzato nel rispetto di determinati criteri>.
Gli stessi criteri che ispirano l’attività produttiva dell’azienda vitivinicola siciliana dei conti Tasca d’Almerita, tra le fautrici del progetto etico SOStain della medesima Università Cattolica del professor Carpi. Progetto che, come spiega il responsabile della produzione agronomica aziendale, Giuseppe Tasca (nella foto a dx, con il fratello Alberto), <è un insieme di regole di salvaguardia ambientale che coinvolgono in modo trasversale l’economia, la società, l’ambiente. Alle imprese che le accettano, i ricercatori forniscono informazioni pratiche per una conduzione consapevole e ottimale dell’attività aziendale. E poiché il capitale ambientale è patrimonio di tutti, ecco che una vitivinicoltura rispettosa dell’ambiente, che fa a meno dei prodotti di sintesi e abbatte i costi fissi di gestione, costituisce la risposta più appropriata per elevare la qualità dei prodotti e assicurare alla società un futuro migliore>.
Approccio rispettoso per l’ambiente e per la salute del consumatore, dunque. Che poi riprende antichi valori della cultura e della tradizione contadina a cui si rifà Raffaele Boscaini (nella foto tra le vigne di Valpolicella) del gruppo vitivinicolo Masi a cui nel 2013 è stato assegnato il premio “Ecofriendly” per “l’impegno nella salvaguardia dell’Ambiente”. <Quando in Valpolicella i contadini mettono a dimora una nuova pianta di vite – rammenta il giovane imprenditore veneto – la innaffiano per la prima volta con un goccio di vino. È un gesto simbolico che esprime consapevolezza del valore della terra e dei suoi frutti>. Un gesto che punta a riposizionare una natura campestre che ha il sapore d’altri tempi e far sì che <anche le generazioni future possano beneficiare della generosità di madre terra>. Come? <Evitando sprechi, inquinamenti inutili e limitando al massimo i trattamenti. Perché anche in viticoltura essere naturali – conclude Boscaini – non significa eliminare il progresso>.
E se il numero uno dei produttori di Amarone esalta la logica del <giusto equilibrio>, la Desiderio Bisol di Valdobbiadene, nome carico di storia nel mondo del Prosecco Docg, avvia la campagna di lancio dell’etichetta “NoSo”, crasi che indica il primo vino spumante senza solfiti. Mentre la Speri – altra azienda storica della Valpolicella classica – da quest’anno potrà vantare sulle proprie bottiglie la certificazione biologica. Un riconoscimento assegnato proprio a conclusione del ciclo produttivo previsto per tutte quelle unità che sposano la logica del basso impatto ambientale. Come accade per i vini di Feudo Antico, azienda abruzzese e maggiore produttore della Dop Tullum che, proprio di recente, ha ottenuto la certificazione di sostenibilità rilasciata da Magis, il network scientifico presieduto dal professore Attilio Scienza dell'Università degli Studi di Milano, un’autorità nel campo della scienza agronomica e vitivinicola.
Riconoscimento di sostenibilità che presto dovrebbe arrivare anche in casa della vitivinicola umbra Lungarotti che da più di tre anni produce in regime di conversione dal tradizionale al biologico. A questo proposito la titolare, Chiara Lungarotti(nella foto a sx con la madre Maria Grazia e la sorella Teresa), dice: <Abbiamo seguito il protocollo Ue per quanto riguarda la produzione di uve Sangiovese, Sagrantino e Merlot della tenuta di Montefalco. A Torgiano, invece, non siamo ancora in regime, ma l’obiettivo è arrivarci. Siamo infatti convinti che la qualità dei vini viene esaltata da una coltura sostenibile che tende a eliminare, come noi stiamo facendo, sostituendo i diserbanti chimici con concimi naturali come il letame>. Obiettivo che diversi vignaioli italiani hanno già conquistato, che molti altri intendono farlo e che, altri ancora, sono andati già oltre quel traguardo, sposando l’agricoltura biodinamica, alla maniera di Giboulot, per intenderci.
Un esempio in questo senso è quello dell’azienda a coltura biodinamica Tenuta di Poggio di San Miniato, in Toscana, il cui titolare Cosimo Maria Masini (nella foto accanto) è fautore di un’agricoltura pulita concepita senza l’uso di prodotti di sintesi. Anche quando la scienza ha dimostrato, com’è nel caso del vino, che vi sono lieviti e coadiuvanti esogeni utilizzati in cantina per stabilizzare il vino, che è un prodotto vivo soggetto a modificazioni sostanziali. Masini, invece, ritiene che <solo eliminando totalmente l’uso dei prodotti di sintesi in agricoltura è possibile fare vini autentici, rispettosi della naturalità, con un’anima che regala sorsi di vita>.
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Le inchieste di“TerraNostra”: #vinobiologico (gli articoli precedenti sono stati pubblicati il 26 e il 28 marzo scorso)
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