Non c’è crisi o terremoto che tenga. Se si vuole ripartire bisogna smettere di piangersi addosso e avere il coraggio di fare, di investire. Vale, da sempre, per ogni cosa e ogni tipo di mestiere. E, va da sé, anche per chi si trova a gestire una brigata di cucina. Sì, avete capito bene, qui si parla del cuoco, termine che il grande Gualtiero Marchesi preferisce all’esterofilo chef. Ovvero la figura professionale oggi tra le più gettonate, grazie anche all’effetto moltiplicatore di programmi Tv che, a questo punto della storia, rischiano di implodere per troppa inflazione di “ricette via etere” non sempre replicabili a casa. Ma se questo è spettacolo, il vero campo della ristorazione urge cambiamenti e più investimenti.
Cambiamenti che in tanti hanno già avviato, magari vincendo anche il dramma tragico del terremoto, com’è accaduto al due stelle Michelin Gianni D’Amato del Rigoletto di Villa Manfredini di Reggiolo. Tutti ricordano la catastrofe che appena un anno fa ha colpito l’Emilia, e D’Amato, come tanti altri compatrioti di quelle terre, ha visto crollare in una manciata di minuti il patrimonio costruito in una vita di sacrifici e maestrìa culinaria. Ma Gianni, la moglie Fulvia e il figlio Federico non si sono arresi a ciò che, purtroppo, era ben evidente. Così, passata la furia della natura, si sono inventati il Rigoletto Itinerante, un servizio di cucina volante, proposto cioè là dove è possibile farlo, utilizzando le materie prime del luogo. Ieri sera Gianni D’Amato con il suo Rigoletto Itinerante è approdato anche a Milano, ospite de “i mestieri del cibo, interessante lezioni condotte da Licia Granello negli spazi dell’Iper di Piazzale Accursio. Il cuoco di Reggiolo ha presentando due strepitosi piatti a base di pesce e Squacquerone, tipico formaggio a pasta molle prodotto dalla Comunità di San Patrignano. Un’esperienza singolare che ha svelato la forza interiore di una persona che non si arrende e crede nel futuro.
Come peraltro crede nel futuro chi, pur potendo vivere di rendita, preferisce continuare a investire, anche quando la crisi più buia sconsiglierebbe di farlo. Un nome non proprio a caso è quello di Fabio Baldassarre, abruzzese di Morrea, lungo peregrinare per le cucine di mezza Europa, prima di approdare alla Pergola di Roma. Una doppia manciata di anni ai fornelli del tre stelle Michelin Heinz Beck, dove appunto avrebbe potuto continuare a lungo. E, invece, eccolo affrontare la svolta della vita, sognando e interpretando una brigata di cucina tutta sua.
È il 2008, la crisi economica è appena iniziata e nessuno ha ancora capito la dimensione del fenomeno. Soprattutto nessuno è in grado di sapere quanto durerà. Il nostro Fabio e un gruppo di soci imprenditori del settore food & beverage decide, non si sa bene con quanta saggezza o incoscienza, di lanciare la sfida. Viene a Milano e apre l’Unico: un ristorante unico di nome e di fatto, appollaiato sulla cima di un grattacielo sorto di recente nel cielo della periferia meneghina. Quando due anni dopo l’avventura decolla, l’enigma su come andrà dura il tempo della prima serata, finita con i tavoli tutti occupati. Qualcuno sussurra che l’investimento abbia superato i 10 milioni di euro, una cifra enorme che non trova conferma nel diretto interessato. Quello che Fabio Baldassarre invece assicura sono i 70-80 coperti che riesce a fare ogni sera e i 50 pasti di mezzogiorno. Un ritorno oltre le attese per un ristorante di livello come il suo, grazie alla variegata particolarità dei suoi piatti che parlano locale e internazionale. Il che gli ha permesso di appuntarsi già la prima stella Michelin sul petto. Si direbbe un successo d’altri tempi, ma è storia di oggi. Come peraltro testimonia la firma che Fabio Baldassarre ha messo in calce al ristorante con grill “Opson” aperto, ora è una settimana, all’hotel Imperiale di Taormina.