L’Italia, è noto, è il maggiore paese produttore, consumatore ed esportatore di pasta al mondo: ne produce oltre 3,1 milioni di tonnellate, ne consuma almeno la metà e ne esporta l’altra. Un primato supportato da oltre 4mila miliardi di euro di fatturato grezzo, che la crisi non ha scalfito in modo particolare. Un piatto di “cereale” con pomodoro o altro ingrediente, infatti, costa poco, soddisfa il palato e mette a tacere la pancia, sicché anche in presenza di un reale calo dei consumi alimentari, come ha documentato nei giorni scorsi l’Istat, la domanda interna di spaghetti e fettuccine ha sostanzialmente tenuto. A questo si aggiunga la buona performance delle esportazioni, che migliorano di anno in anno, al punto da superare la soglia del già detto 50% del totale prodotto.
È un fatto che gli italiani consumino mediamente 28 chili di pasta secca l’anno a testa, cui vanno a sommarsi altri 4-5 chili di prodotto fresco semplice o con ripieno. Dunque, un paese campione assoluto in fatto di “primi” che, saggezza vuole, bisogna tutelare in ogni senso. E va detto che sia i pastai di ogni grandezza, sia i ristoratori di ogni livello ce la mettono tutta a preservare questo vantaggio, gli uni nell’elaborare strategie produttive e commerciali più efficaci e, gli altri, nel ravvivare o inventarsi ricette gustose senza tradire il buon gusto della tipicità e della tradizione.
TuttoFood, il salone dell’alimentazione che ha appena chiuso i battenti a Milano, da questo punto di vista è stato un evento nell’evento. Nel senso che tra iniziative ufficiali e fuori salone, l’imprenditoria del cibo ha dimostrato di essere molto attenta ai particolari di cui sopra. Così è stata, per esempio, la presentazione del “sommelier della pasta”, idea presa a prestito dal mondo del vino e fatta propria dal pastificio DelVerde di Fara San Martino (Ch) che, nello scenario di vetro e acciaio del nuovo complesso urbanistico Unicredit, ha messo in scena una vera e propria cucina e illustrato l’idea stessa. La cui filosofia, come l’ha spiegata il Ceo di DelVerde, Luca Ruffini, è molto semplice.
Proprio come fa un sommelier con il vino – ha sostanzialmente raccontato Ruffini -, anche un bravo degustatore di maccheroni, trofie, lasagne e quant'altro è in grado, tramite un’analisi accurata e in presenza di parametri ben definiti, di individuare e descrivere le caratteristiche della pasta. Analisi fatta sia a crudo che dopo cottura, valutando il colore, i profumi, la consistenza, il modo e i tempi della cottura stessa. Va da sé che per arrivare a questo stadio, è stato necessario formare prima di tutto un panel di esperti tra gastronomi, cuochi e tecnici dell’alimentazione ai quali è stato poi chiesto di definire un “protocollo di degustazione”. Non sappiamo se il pastificio ora provvederà a diffondere questo protocollo, cosa che personalmente noi suggeriamo di fare per allargare l'ambito operativo dell'iniziativa. Magari codificando un termine che richiami l’azienda (“Codice DelVerde” o “Protocollo DelVerde”…). Anche perché, il successo di una simile idea dipende poi dalla capacità e qualità di sviluppare un piano di marketing adeguato. E questo è un passaggio che spetterà poi a ogni azienda giocarselo come crede, tenuto conto che la cultura alimentare cresce, si eleva non per singoli interessi ma per obiettivi generali e solidali.
Di questo ne è pienamente convinto Massimo Mancini, un giovane imprenditore marchigiano avvicinatosi di recente al mondo della pasta e già con un palmarés di tutto rispetto: le sue paste, ancorché in quantità ancora modeste, sono reperibili in negozi e ristoranti selezionati. Ebbene, dice Mancini: <A fronte di una dimensione enorme del mercato della pasta, le leve di marketing prevalenti oggi giorno fanno prevalentemente ricorso al prezzo e alla pubblicità, quando è risaputo che, in materia di qualità oggettiva e percepita, esistono spazi che, se ben interpretati, possono dare un forte contributo alla crescita del settore>. Per arrivare a questo risultato <è però necessario – aggiunge il giovane pastaio marchigiano – fare uno sforzo in termini di comunicazione e di organizzazione della filiera, al fine di trasmettere e fare capire ai consumatori che di "spaghetti" ne esistono di diversi tipi e che, dietro a un pacco di pasta, c'è un percorso che non è sempre lo stesso e uguale per tutti. ora, posso comprendere che questa trasparenza auspicata trovi qualche resistenza tra alcuni soggetti della filiera, tuttavia sono convinto che la trasparenza del messaggio sia la strada migliore per stimolare il cambiamento auspicato. L'esempio di quanto accaduto nel mondo del vino negli anni Ottanta è un ottimo insegnamento>.