Milano è un porto di mare, prima o poi ci arrivano tutti. Studenti e muratori, ragionieri e imprenditori, ricchi e poveracci, galantuomini, puttane e spacciatori. Milano ti dà la vita e te la toglie. Milano “è un cuore aperto”, recita una bella canzone di Lucio Dalla. C’è da credergli.
A Milano puoi fare di tutto. Dall’operaio all’industriale, dall’impiegato all’artigiano, dal finanziere all’agricoltore. E perché no, anche il vignaiolo. Sì, il produttore di vino con tanto di vigne che germogliano con le nebbie di primavera, sebbene non tutti i meneghini, per lo più d’importazione, ne siano al corrente. Anzi, qualcuno ci ride pure sopra quando glielo fai notare.
“L’uva prodotta a Milano? Ma va là, a chi vuoi darla a bere…”. Non hanno tutti i torti, visto che il rosso doc San Colombano e suo fratello bianco “verdea” sono una rarità. In tutto se ne fanno poco più di 10.000 ettolitri e nelle annate più generose si arriva a 15.000. Nemmeno mezza bottiglia per locale pubblico. Sicché per degustarlo tanto vale andare sul posto, nelle trattorie abbarbicate tutt’intorno la collina di San Colombano: l’unica della provincia, il cui nome risale al vescovo irlandese che nel VI secolo, molto prima di Ambrogio, scacciò i barbari dalla zona per portare agli indigeni la parola di Dio e insegnare loro a coltivare la vite.
San Colombano è un’enclave di qualche centinaio d’ettari tra il Lodigiano e il Pavese, lungo il corso del Lambro, a qualche decina di chilometri dalla madunina tutta d’ora e piccinina, musicava il mitico maestro Giovanni D’Anzi. Ma è sufficiente inoltrasi nell’adiacente Oltrepo (c’è chi vuole l’accento sulla ò) per trovarsi immersi in un incredibile saliscendi di vigne che si estendono per 16.000 ettari, toccando 42 comuni e coinvolgendo 8.500 aziende. Con un tesoretto di Pinot nero presente su una superficie di 2.500 ettari, seconda per importanza solo alla Borgogna. Dunque un serbatoio incredibile di mosti e vini base spumante per tutto il “Vecchio Piemonte”, nome che prima dell’Unità dello Stivale indicava l’attuale Piemonte e buona parte dell’Oltrepo di oggi. Una terra che è campione di spumante, ma anche di Bonarda, Barbera, Riesling, Chardonnay, Pinot grigio e molte altre varietà ancora. E tutto questo a meno di un’ora di macchina da Milano. L’industriosa Milano.
Industriosa? Certo, ma con sempre meno tute blu e sempre più colletti bianchi sotto l’incalzare del terziario e il ritorno del primario: quell’agricoltura che forse non può ambire allo scettro che le apparteneva al tempo di Manzoni, ma di sicuro voce importante del reddito regionale con il 20 per cento circa del Pil. Abbastanza per farne la seconda regione agricola d’Italia, dopo l’Emilia Romagna.
Oltre 1,2 milioni di ettari coltivati (il 7 per cento dell’Italia), 57.500 imprese (3 per cento), 116.000 occupati diretti (9 per cento), il primario lombardo sviluppa una produzione agricola che si aggira sugli 11 miliardi di euro su un totale nazionale di 70. Un rapporto di 1 a 7. Che è tanto, ma non quanto quello dei consumi domestici che sfiora i 27 miliardi rispetto ai 155 dell’intero Belpaese, e quello dei consumi extradomestici pari a 11 miliardi su un totale di 65 dell’intera Penisola.
Insomma una regione, la Lombardia, che produce e che consuma buona parte del latte e della carne made in Italy, ma anche cereali (il 20 per cento sul totale nazionale), foraggi (18 per cento), e poi a scendere ortaggi, frutta, olio d’oliva. E naturalmente coltiva la vite da vino. Lo fa su un’estensione di quasi 25.000 ettari, con la variopinta capacità dell’Oltrepo, la briosità del Lambrusco mantovano, la signorilità delle bolle eteree della Franciacorta affacciata sull’Iseo, piuttosto che con il setoso Lugana del Garda, l’intrigante moscato passito della Valcalepio o il potente Sfursat di Valtellina, con le sue intrepide terrazze affacciate sulla Valchiavenna. In tutto 1,6 milioni di ettolitri di vino, poco più di 200 milioni di bottiglie. Tutte vendute per il 60 per cento fuori dai confini regionali. Chi fa di più?
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(*) Titolo della prefazione fatta per il libro "Lombardia. Il mosaico del vino" di Andrea Zanfi, Carlo Cambi Editore