Tradizione vuole che a Capodanno si brindi al nuovo che arriva alzando al cielo calici di vino spumeggiante. L’appuntamento è segnato dal botto di milioni di tappi che saltano e l’abbraccio augurale che anche quest’anno gli italiani, astemi compresi, non mancheranno di scambiarsi.
Da sette anni a questa parte, però, l’augurio si è perso per strada. Tuttavia in questi ultimi mesi e settimane nuovi fatti sono accaduti. Fatti che non hanno alcunché di sicuro sul cambio di passo atteso e comunque da non sottovalutare. O, peggio, da scartare a busta chiusa.
In prima battuta ci sono le buone notizie che giungono dagli States d’America, con il Pil in forte crescita (+5% nel penultimo trimestre) e abbondantemente oltre le attese dell’amministrazione yankee. Si tratta però di fatti che accadono dall’altra parte dell’Atlantico, mentre sul versante europeo tutto resta avvolto nella nebbia. Per non dire dell’Italia, dove l’economia è afflitta da quattro “esse”: la domanda che Stagna, gli ordini che Stentano a ripartire, gli investimenti che Svirgolano verso paesi più competitivi e la disoccupazione – soprattutto giovanile – che Stronca alla radice le aspirazione di crescita e indipendenza economica di intere generazioni.
Una situazione da incubo da fare temere il peggio. Al punto da indurre il Governo a studiare e varare in dieci mesi una riforma del lavoro che, nelle intenzioni, dovrebbe stimolare nuova occupazione e disincentivare i licenziamenti. Almeno questo è l’augurio dell’ispiratore della riforma, il presidente Matteo Renzi e, con lui, milioni di italiani a cui sta a cuore la crescita dell’Italia nel suo insieme.
Per ora però la neonata riforma delle “tutele crescenti”, com’è stata subito definita quella del Jobs act, è solo uno slogan ben riuscito. Slogan che non basta a chiarire le tante incognite che la riforma presenta agli occhi degli osservatori tecnici e, soprattutto, di quella parte politica che l’ha osteggiata già in fase di gestazione.
Messe così le cose, è sin troppo prevedibile che saranno proprio questi i temi che verranno più ripresi nell’ultimo discorso di fine anno dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, al quale personalmente va il mio modesto Grazie per l’impegno che ha dedicato nell’esercizio del suo “lungo settennato”.
Certo ne ha parlato e ne parlerà ancora a lungo, com’è giusto che sia, lo stesso Renzi il quale, messa da parte la veste del rottamatore, si sta rivelando sempre più provetto funambolo, in perenne movimento sul filo delle riforme. Che, logica vuole, dovrebbero avere il dono dell’equilibrio nella distribuzione dei benefici. Il che non sempre è scontato che sia.
Lo dico interpretando l’operato di quelle imprese che in queste ultime settimane di dicembre hanno dato il benservito a giovani assunti con contratto a tempo indeterminato, adducendo difficoltà economiche del ramo d’azienda (Srl collaterali con meno 15 addetti) cui gli stessi impiegati erano stati precedentemente assegnati. Un operato rispettoso delle regole sotto il profilo legale, sebbene presumibilmente propiziato da opportunità fiscali, ma anche praticato su un terreno a visibilità ridotta.
Accade che codesti network, in virtù di difficoltà non meglio specificate, hanno dichiarato di volere procedere alla fusione delle Srl in questione, licenziando parte del personale e impegnandosi a sostituirlo con nuovi assunti. Ciò che in tutto questo non si dice è se anche le nuove assunzioni avverranno con contratto a tempo indeterminato. La concomitanza del varo del Jobs act autorizza infatti a pensare che così potrebbe non essere. Con tutte le conseguenze del caso.
Ora, nessuno dubita che nella vita di un’impresa ci possano essere momenti di crisi oggettiva. E il contesto congiunturale lo lascia ampiamente intuire. Tuttavia di fronte a fatti poco trasparenti e con il Jobs act destinato a rivoluzionare il mercato del lavoro, l’impressione è che con la riforma delle “tutele crescenti” ci sia qualcuno che pensa di poter brindare meglio e più di altri.
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