In occasione della 20° edizione del “World pasta day” tenutasi a fine ottobre a Dubai, istituzioni, imprenditori, broker, scienziati dell’alimentazione, nutrizionisti provenienti da tutto il mondo si sono dati appuntamento e hanno fatto il punto su questo prodotto fondamentale per l’alimentazione.Di cui l’Italia è leader mondiale in quanto produttore, esportatore e consumi.
Il tema della pasta è stato oggetto di una relazione che ho avuto l’onore di tenere in una recente conviviale del Rotary Club Milano Est presieduta da Giorgio Kobau dal titolo “Il ruolo dell’Italia nel mercato mondiale della pasta” di cui riport ampi stralci.
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La pasta… Ovvero l’alimento che tutti gli italiani conoscono fin dalla culla e che i consumatori di tutto il mondo hanno imparato ad apprezzare, consumare e anche produrre sempre più copiosamente. La spiegazione di ciò trova la sua ragione d’essere nel prodotto che è ricco di proprietà nutrizionali, facile da preparare nei modi più svariati ed è assai competitivo nei costi rispetto a molti altri alimenti, cosa che in tempi di magra economia si rivela essere un salvadanaio per il bilancio familiare.
A questo si aggiunga che la pasta è, con la verdura, la frutta e l’olio extravergine d’oliva, alla base della famosa “dieta mediterranea” che tanto bene fa alla salute del consumatore.
L’idea di parlare di spaghetti, maccheroni, lasagne … è stata del tutto casuale, stimolata da un evento internazionale di due settimane fa tenutosi a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Mi riferisco al “World pasta day” giunto alla 20° edizione organizzato dall’Ipo – International Pasta Organization presieduto da Paolo Barilla – con il patrocinio governativo locale impegnato nel promuovere nel paese una maggiore conoscenza della pasta di semola di grano duro e stimolarne il consumo nelle scuole dell’obbligo, in modo da contrastare l’obesità sin da giovane età.
Paese di 10 milioni di abitanti, di cui l’88% stranieri residenti, con la natalità in aumento del 3% negli ultimi anni, un reddito superiore a 10mila dollari pro-capite, un turismo in forte crescita e clima che non favorisce certo l’agricoltura, Dubai deve necessariamente importare la maggior parte dei prodotti alimentari. La pasta è uno di questi.
IlWorld pasta day si è rivelato una grande opportunità per parlarne sotto più profili, nutrizionale, salutistico e naturalmente anche per affari. Motivazioni che hanno stimolato l’arrivo da ogni dove di pastai, broker, dietologi, scienziati dell’alimentazione per parlare e degustare pasta. Come quella servita dai 16mila e passa ristoranti presenti sul territorio emiratino, che come numero supera già l’offerta disponibile nella metropoli di New York. Senza contare le licenze in corso di rilascio e le altre che verranno rilasciate da qui alla data di apertura della madre di tutte le manifestazioni fieristiche, vale a dire Expo Dubai 2020 in calendario dal 20 ottobre 2020 al 21 aprile del 2021 per la quale sono attesi 25 milioni di visitatori da tutto il mondo.
Dubai chiama Italia, e viceversa
Per i pastai italiani (e non solo loro) gli Emirati costituiscono un mercato di nicchia decisamente promettente per il futuro. In più ha una posizione geografica strategica tale da rendere agevole il monitoraggio di tutta l’area medio orientale. Area che ha accresciuto molto la propria attenzione all’offerta del food & beverage made in Italy.
Quanto a Dubai, la statistica dice che nel 2016 la città dei mille-e-cinquecento grattacieli (tra cui la famosa “vela” del Burj al-arab e il Burj Khalifa che con i sui 828 metri è il più alto al mondo) ha importato dall’Italia cibo e bevande per 329 milioni di dollari.
Non grandi numeri in sé, ma molto interessanti e proiettati verso traguardi superiori. Non fosse altro per la presenza di duemila e rotti ristoranti a gestione tricolore operativi, e un altro centinaio in corso di apertura con cuochi e responsabili della gestione che per logica professionale e rispetto della ricetta proposta sono portati a utilizzare prodotti originali made in Italy.
Produzione mondiale quasi raddoppiata in vent’anni
Dal World pasta day 2018 è emerso che la pasta per l’Italia ha un peso notevole, considerata la leadership in quanto a produzione (poco meno di 4 milioni di tonnellate, pari al 26% del totale mondiale e un fatturato che sfiora i 5 miliardi di euro), export (50% del totale prodotto in 200 paesi e 1,9 miliardi di euro di giro d’affari) e consumi, ormai stabilizzati intorno a 23 chili pro-capite, dopo aver toccato punte di 27-28 chili sul finire del secolo passato.
Dunque, Italia maggior produttore, maggiore esportatore, maggiore consumatore, ma anche il più esposto al fenomeno dell’italian sounding, ovvero le imitazioni e i falsi prodotti made in Italy sempre minaccioso e difficile da estirpare… Un fenomeno che ogni anno sottrae all’Italia qualcosa come 60 miliardi di euro. Una cifra enorme per la filiera agroalimentare nostrana che nell’insieme vale 130 miliardi.
Che la pressione sia enorme trova conferma che le aziende del settore sono state oggetto di un processo di concentrazione che in vent’anni ha dimezzato il loro numero, passando da 200 del 1998 a un centinaio ora tra piccole, medio-grandi e una sola multinazionale.
Imprese per lo più familiari che, anche quando la proprietà ha cambiato bandiera, non hanno perso il legame con il territorio d’origine. Anzi, l’esperienza dice che in genere i passaggi di mano di marchi nazionali, finiti sotto il controllo di capitali esteri, hanno rinvigorito l’impresa, qualificandone la produzione e migliorando l’immagine del brand. E questo in un ambito di attività in cui i margini sono risicati, ma si vince con un’offerta di maggiore qualità.
Immagine e qualità che, per assurdo, stuzzica gli appetiti fraudolenti degli scopiazzatori, ma che restano pur sempre la via maestra necessaria per consolidare il successo di un prodotto, di un’impresa, di un pastificio. Come dimostrano i flussi all’export di pasta che nel 1998 pesavano 750mila tonnellate e che vent’anni dopo sono saliti a 2 milioni di tonnellate.
Il World pasta day ha però suggerito che, se l’Italia numero uno, il mercato di riferimento è il mondo. E sì, perché se una volta i produttori di pasta fuori dal perimetro italico erano concentrati nei paesi rivieraschi il Mediterraneo, oggi non è più così tanto che la produzione mondiale negli ultimi quattro lustri è aumentata a tassi esponenziali: da 9 milioni di tonnellate del 1998 a 15 milioni nel 2017, di cui 4 milioni hanno origine in Italia.
Un passo dal raddoppio, quindi, che potrebbe concretizzarsi entro questo decennio. Sempre che non prendano realmente forma le minacce di potentati politici, protagonisti fuori misura e vogliosi di introdurre barriere tariffare che finirebbero per penalizzare i commerci tra Paesi.