I carri arrivano in cantina alla spicciolata, di prima mattina. Vanno e tornano più volte nel corso della giornata, carichi di cassette piene di uva appena vendemmiata: non più di 15 chilogrammi ciascuna, onde evitare che la sovrapposizione dei grappoli provochi lo schiacciamento dei chicchi.
Sul fare della sera, saranno oltre duemila i quintali tra Chardonnay, Pinot bianco, Merlot, Cabernet e altre varietà a varcare i recinti di Ca’ del Bosco, azienda di punta della Franciacorta che alla buona cura dell’uva e del vino dimostra di non avere limiti. Tant’è che, espletate le formalità della pesa, le cassette con il prezioso carico vengono prelevate dal robot il quale, al pari di un moderno Caronte, le adagia sul rullo trasportatore, lasciandole scivolare in totale automatismo per un viaggio tra condotte, gallerie e lineari che sembrano montagne russe.
Siamo nell’impianto ultima generazione tecnologica che l’azienda fondata e presieduta da Maurizio Zanella ha completato e messo in marcia con l’inizio della vendemmia in corso. Una struttura complessa che ha richiesto qualche anno di lavoro e che ha poco o niente della cantina vecchia maniera, intrisa di odori volatili e fastidiosi moscerini.
Ne è venuto fuori un impianto unico nel suo genere in Italia. Probabilmente anche in Europa, talché la sua realizzazione è frutto dell’esperienza tecnologica maturata da Ca’ del Bosco, che si è affidata al sapere ingegneristico di aziende come le italiane Evolut e Turati e la tedesca Willsnes.
Ingente l’investimento, stimato complessivamente su una trentina di milioni di euro. Come dire, quasi i ricavi degli ultimi esercizi che il presidente, l’amministratore delegato Ettore Nicoletto e il socio di maggioranza, il gruppo Santa Margherita, hanno sostenuto per tempo. Tutti consapevoli della valenza del progetto e di un modello di fare impresa che in azienda definiscono “metodo di produzione Ca’ del Bosco”.
Progetto-modello-metodo che parte dalla vigna (250 ettari tutti in gestione diretta e in conversione biologica certificata) e arrivare alla cantina, dove la tecnologia applicata tocca la massima espressione innovativa.
Ecco allora il rullo trasportatore entrare in cella frigo, con lo shock termico che blocca indesiderati principi fermentativi dei grappoli; ecco l’avvitamento su se stesse delle cassette, con delicata posa dell’uva sul nastro che scivola sotto l’occhio a raggi infrarossi, sicché mani esperte eliminano ciò che non è perfettamente sano.
Il successivo passaggio è certo il più curioso per l’osservatore, rapito nel vedere che anche l’uva prima di essere pigiata ha bisogno di un energico trattamento corporeo, tipo “spa”. Una sorta di idromassaggio per cui l’acqua tumultuosa permette di eliminare residui di anticrittogamici, muffe, polvere, insetti e quant’altro di indesiderato presente su ogni chicco d’uva.
Infine ma non ultimo l’asciugatura, prima di passare nei polmoni di acciaio per la pressatura soffice dei grappoli. Dopo di che i mosti fluiscono nelle condotte che portano ai contenitori predisposti dai tecnici di cantina guidati dall’enologo Stefano Capelli, da oltre trent’anni al fianco di Zanella e ideatore di una particolare macchina tappatrice (costruita da Pietro Belli) in grado di imbottigliare il vino in assenza di ossigeno.
Insomma, innovazioni frutto di ricerca continua che hanno permesso di dare un imprinting qualitativo esclusivo ai vini Ca’ del Bosco, dai più famosi Franciacorta fino ai nuovi nati Corte del Lupo, una coppia di vini fermi bianco e rosso che riportano il marchio di Erbusco all’origine. E sono proprio questi nuovi vini a marcare la tempistica vendemmiale, un tema a cui l’azienda franciacortina da alcuni anni dedica un’attenzione non comune. Consiste nel ridurre quanto più possibile il festival vendemmiale che, in Franciacorta come altrove, si protrae per diverse settimane, fino a lambire i due mesi.
Ebbene, con il metodo Ca’ del Bosco questo tempo è già stato accorciato a meno di un mese, ed destinato a ridursi ulteriormente. Per Zanella e Capelli si dovrebbe stare entro le due settimane, cosa che si conta di riuscire a fare nei prossimi due-tre anni. Le ragioni sono plurime: comprendono sia il bisogno di ottimizzare i tempi e contenere i costi della filiera produttiva, sia far fronte alle problematiche dettate dai cambiamenti climatici in atto, con conseguenze già evidenti sul percorso vegetativo delle piante e del frutto.
Che ci si arrivi non vi sono dubbi, vista la determinazione con cui già molte cose sono state fatte in questa azienda. Che, a dire il vero, ha da sempre avuto una particolare predisposizione non solo alla ricerca e all’innovazione tecnologica finalizzata a una maggiore qualità dell’uva e del vino. Ma anche un’apertura alla cultura e all’arte, come ben dimostra l’impostazione stessa della struttura aziendale, laddove tra tubi e nastri trasportatori collocati in un contesto scenografico al naturale fatto di vigne, prati e boschi, ecco la presenza di opere dell’ingegno firmate da maestri dell’arte plastica. Un mondo a sé, come trovarsi dentro una galleria museale a cielo aperto.
Tale è l’ingresso in azienda, con l’imponente cancello bronzeo nella forma del “Sole” di Arnaldo Pomodoro, ovvero con gli enigmatici volti marmorei di Igor Mitoraj o il vistoso “Uovo” di Spirito Costa; per non dire del possente “Rinoceronte sospeso” di Stefano Bombardieri cui si contrappone il leggiadro “Schizzo d’acqua” di Zheng Lu, entrambi mimetizzati tra vasi vinari di puro acciaio, custodi di prodotti dal fine perlage. Sicché all’osservatore non resta di meglio che brindare alla vita con uno straordinario Franciacorta Annamaria Clemente, il cui assaggio fa dimenticare le brutture del mondo. Prosit.
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