Champagne, la storia esaltante e controversa del ‘vino dei re’ lanciato dai borghesi e alla portata di tutti

champagne-dom-perignonChissà se in Paradiso c’è vino a sufficienza per un brindisi tra anime beate. Certo non dovrebbe mancarne per Dom Pérignon (1638-1715), l’abate cantiniere più famoso di Francia. Non fosse altro per il rispetto che gli si deve nell’avere contribuito a fare una bevanda che vanta il maggior numero di superlativi al mondo.
La leggenda lo colloca, infatti, tra i padri illustri del ‘vino dei Re’, lo Champagne. Ma che lo sia stato a tutto tondo è ancora oggetto di riflessione. Per questo ci si chiede come la prenderà l’anima eletta quando saprà che, quaggiù, sul suo mito aleggia un interrogativo che recita pressappoco così: è proprio lui l’artefice di questo prodotto divenuto sinonimo di gioia di vivere?
A Dom Pérignon la vulgata popolare riconosce il ruolo di ‘scopritore’ di una tecnologia ante litteram capace di imbrigliare l’anidride carbonica che si sviluppa nel vino, sì da favorire una seconda fermentazione in bottiglia. Da cui la magia del perlage che sale dal fondo della coppa, per disperdersi in superficie.
Fu vera gloria?, per riprendere l’interrogativo di manzoniana memoria rivolto a un altro Grande di Francia.
champagne-saint-pierre-dhautvillersNessun dubbio risponderanno i seguaci ortodossi del Dom. Nondimeno c’è chi si dice convinto che le cose non stanno proprio così. O meglio. Il miracolo dell’abate in terra c’è stato, ma non riguarda l’imbrigliatura della CO2, che i romani conoscevano già. Semmai il suo merito è di aver selezionato barbatelle e avviato nuovi processi di vinificazione, dividendosi tra i clos e la cave dell’abbazia di Saint-Pierre d’Hautvillers (nella foto).
Di questo si dice sicuro il geologo Mario Chiesa, autore del libro ‘Champagne reloaded, cronaca di un successo inaspettato’ pubblicato per i tipi della Trenta Editore di Milano. Lo fa da cultore del vino, mixando “realtà e leggenda” come si conviene a un brand ambassador di Champagne, titolo onorifico assegnatogli dal Comitato interprofessionale Civc che gli ha consentito di accedere a brogliacci e aneddoti che raccontano il territorio e il vino ivi prodotto. Senza trascurare personaggi e interpreti che in un modo o in un altro ne hanno costruito il mito.
In capo alla lista non potevano che esserci i legionari al seguito di Cesare, insediatisi in Champagne nel 57 a.C. A loro il merito di avere portato nelle province della Marne, dell’Haube, dell’Aisne a un centinaio di chilometri a Est di Parigi, la cultura del vino. Come poi fecero proseguendo per la Gallia.
Non solo vino, ma costruirono anche case in muratura (al posto di capanne di paglia e legno), utilizzando i materiali gessosi del sottosuolo di paesi e villaggi come Reims, Epernay, Ay, Bouzy … Per questo scavarono pozzi e gallerie per centinaia di chilometri, che i futuri vigneron transalpini hanno poi sapientemente trasformato in cantine (crayeres) per conservarci un tesoro inestimabile fatto di milioni, forse miliardi di bottiglie.
Tanti autori, non solo Dom
champagne-reloaded-copertina-libroSe i romani hanno portato la vite e il Re dei Franchi Clodoveo ne ha incentivato la coltivazione, per bere vino minimamente degno di questo nome bisogna aspettare il Medioevo. Quando, cioè, la diffusione degli ordini conventuali vede i monaci in prima fila nello studio e nella pratica della coltura agricola. Oltre che nella preghiera.
Insomma, l’ora et labora apre la strada alla ricerca e sperimentazione vitivinicola. Per cui vi sarebbero motivi che fanno pensare come al tempo di Dom Pérignon di vini mossi ce ne fossero già. Anche se tutt’altro che piacevoli, visto che un degustatore dal palato regale come Luigi XIV°, il Re Sole, coetaneo dell’abate di Hautvillers, arrivò a definirli “bevande per debosciati e degenerati”.
E qui l’autore del libro, ancorché riconoscere al Dom doti nella selezione vitivinicola e saggia gestione di cantina, prima s’interroga perché mai “un monaco assai ligio alla regola, avrebbe dovuto produrre un vino che incoraggia al vizio e alla dissolutezza?”. E poi, sicuro di sé, prende per mano il lettore e lo invita a “diffidare da tutti coloro che spacciano l’abate Dom Pérignon come l’inventore dello Champagne”.
Insomma, una diffida in piena regola. Che però non avrebbe certamente trovato terreno fertile presso un altro personaggio regale dell’epoca: il gran bellimbusto Filippo d’Orleans, nipote di Luigi XIV° e a questi succeduto, che della dissolutezza fece un tratto essenziale della propria reggenza. Talché, circondandosi di cortigiane generose e commensali disponibili ai baccanali, concludeva le serate a corte con Champagne a go-go e festini a luci rosse.
L’innovazione è donna, meglio vedove
Passano i re, la ghigliottina impera e pure i capi comunardi in talune occasioni non disdegnano esultare l’evento con una coppa di bollicine. Anche se a fare la cifra dei primi successi commerciali è la nuova classe borghese e danarosa che si afferma dopo la ghigliottina. Nel mentre l’enologia compie passi da gigante, grazie a imprenditori che investono nel vino, costruiscono cantine e marchi d’impresa, molti dei quali tuttora sulla cresta dell’onda.
Nomi, si badi bene, tutti al maschile: Claude Moet, Leon Chandon, Paul Ruinart, Louis Roederer, Charles Heidsieck, Georges Mumm, Pierre Taittinger, Francois Clicquote …
mad-veuve-clicquote-ponsardinFino a quando sulla scena non compare Nicole-Barbe Ponsardin (1777-1866), donna di carattere e lunghe vedute che, rimasta vedova del citato Clicquote, prese le redini dell’azienda lasciatagli dal marito e ne fece un capolavoro d’impresa. Cavallo di battaglia: miglioramenti tecnici in cantina e politiche commerciali più espansive.
Ecco allora l’introduzione della pupitre nella versione lignea tuttora in uso; ecco il remuage che agevola la precipitazione delle parti solide vinose in bottiglia. Ed ecco la prima etichetta di Champagne che riporta il nome della maison: Veuve Clicquote, appunto. Era il 1814, lo stesso anno in cui Napoleone I° sconfitto dai russi, trovò momentaneo rifugio in casa della madama. A Reims.
Passa ancora un po’ di tempo e si fa largo un’altra ‘extraterrestre’. Si chiama Louise Pommery (1819-1890), anch’essa vedova e con il pallino della ricerca che sostiene a piene mani.
mad-veuve-pommery-melinÈ risaputo che i risultati si sudano. E Louise suda, ma le resta la soddisfazione perenne di firmare la prima versione dello Champagne brut, un prodotto nature sans liqueur. Una innovazione che equivale a una rivoluzione, con ricadute positive per l’azienda, nonché passaggio chiave, essenziale per la moderna enologia. Era il 1874. Per lo Champagne ha inizio un cambio di passo e di successo planetario, che continua tuttora.
Lo rivela il quadro dell’oggi composto da 35mila ettari di vigneti registrati Aoc Champagne (Doc o Dop), 25mila viticoltori (per metà associati alle 130 cooperative di coltivatori) di cui 4.362 imbottigliatori, 382 maison e négociant, cui vanno ad affiancarsi altre 43 cooperative con propri marchi commerciali. Il tutto a fronte di una produzione che oscilla intorno a 310 milioni di bottiglie, per metà esportate (6,7 milioni in Italia).
Champagne per tutti! Il caso Feuillatte
È un fatto che se il vino dell’abate cantiniere ha rapito palati regali, e marchi come Dom Pérignon Ruinart Cristal Bollinger Krug … sono tuttora sinonimo di status symbol e upper class, non di meno lo Champagne è e resta un vino desiderato e accessibile dai consumatori sotto qualsiasi cielo essi si trovano. Vigneron compresi, qualora lo vogliano produrre in proprio, fatta salva la regola d’oro del libero mercato: se hai capitali puoi fare ciò che vuoi, anche lanciare un nuovo marchio. Diversamente, cedi il vigneto ad altri o conferisci le uve a una maison privata. Oppure ti rivolgi a una cooperativa, forma d’impresa che negli ultimi decenni ha avuto in Champagne una calorosa accoglienza, tradottasi in crescita mercantile e della base reddituale delle famiglie.
D’altra parte il fenomeno non ha comportato alcuna minusvalenza sugli elevati standard qualitativi e d’immagine che tengono sempre alto il profilo dello Champagne nel mondo. Lo dicono i numeri macro di poc’anzi, ma anche esperienze acquisite da nuove imprese che, in tempi relativamente brevi, si sono imposte all’attenzione del mercato. Diventando per questo casi di studio in Francia e nel resto d’Europa.
Il caso più eclatante di questo fenomeno porta il nome della C.V.C. Nicolas Feuillatte, azienda cooperativa che, in soli quattro decenni, ha bruciato le tappe come nessun’altra in passato. Arrivando a commercializzare 12 milioni di bottiglie, esportate in 80 paesi e posizionandosi al terzo posto nella classifica dei maggiori produttori di Champagne. Dopo Moet & Chandon e Veuve Clicquot, ambedue della holding del lusso Lvmh.
Costituita nel 1976 dall’unione tra 82 cooperative di viticoltori con 4.500 soci conferitori di uve e la maison commerciale in capo a Nicolas Feuillatte, la nuova struttura trova la chiave del proprio successo in quell’essere centro vitivinicolo consortile che fa sua la strategia di marca praticata da una piccola (al momento della fusione) ma dinamica azienda privata. La Feuillatte, appunto.
Manco a dirlo, l’approccio si rivela vincente, facilitato com’era dalle notevoli quantità e diversità di uve disponibili e provenienti da 2.500 ettari di vigneti distribuiti un po’ su tutta la regione. Quantità e diversità che sono fattori essenziali per fare selezione in cantina ed elaborare prodotti di eccellenza. Come provano le due medaglie d’oro conquistate nel 2016 al Global Master Drink Business di Londra, e assegnate ai due Grand cru Pinot nero 2006 e Chardonnay 2006 della Feuillatte (distribuita in Italia dalla Valdo Spa di Pierluigi Bolla).
Un approccio che sotto il profilo commerciale escude strappi sui prezzi e contrapposizioni di sorta alle marche blasonate. Il che non significa evitare il confronto diretto con le aziende storiche; semmai è un posizionarsi su fasce diverse di mercato, garantendo il massimo in fatto di qualità e piacevolezza del prodotto. Il risultato è un ampliamento del perimetro di consumo che, presumibilmente, si traduce in ulteriore successo per tutto lo Champagne.
(criproduzione riservata)
e-mail: basile.nicola@libero.it; ndbasile@gmail.com

  • Barbara |

    Grazie Nicola, bellissimo articolo! Ne siamo onorati

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