Il trattore dalle proboscidi di acciaio avanza lentamente tra gli ulivi carichi di drupe mature. Si ferma davanti a ogni albero, ne imbraga il tronco nodoso e, con un colpo secco, lo scuote.
Il tremolio dura qualche secondo. Quanto basta per far cadere dalla chioma argentea della pianta le olive pendule, che vanno a riempire la grande cesta di raccolta sottostante: sono belle, polpose e dai colori cangianti. Vien voglia di toccarle con mano. Ce ne sono di un verde brillante, nere come pece e multicolori che sconfinano nell’ambra, nel viola e punte di rosa tenue.
Quest’anno, poi, c’è di buono che il frutto è straordinariamente sano: il caldo della lunga estate ancorché accelerarne la maturazione, ha evitato che si generassero nefasti attacchi di mosca. Il che spiega la soddisfazione stampata sul viso di chi le olive le ha appena raccolte. E subito avviate al frantoio per la molitura.
La scena si svolge nella campagna intorno a Fasano, cittadina di 40mila abitanti, a metà strada tra Brindisi e Bari. Ma è la stessa che si consuma in queste stesse giornate d’inizio novembre un po’ in tutta la Puglia, dove, più che altrove, la coltura dell’olivo e del suo prezioso extravergine è nel DNA della regione.
La Puglia dell’extravergine e il dramma della Xylella
Sono infatti quasi 70 milioni, su un totale nazionale di 130, gli ulivi che coprono l’intero territorio regionale: dalle alture del Gargano alla Terra di Bari, passando per Andria e il superbo Ottagono federiciano di Castel del Monte, quindi costeggiare i trulli di Alberobello e proseguire fino al Salento. Dove però persiste il dramma provocato dalla diffusione dalla Xylella fastidiosa, il micidiale batterio proveniente da Est che in un paio d‘anni ha provocato la morte per disseccamento di un numero elevato di piante.
A qualche decina di chilometri più a nord, nel Fasanese, il problema sembra lontano. Ma contadini e olivicoltori lo temono ugualmente. Essi sanno che in mancanza di antidoti fitosanitari efficaci e causa lentezze burocratiche dell’autorità competente nell’adottare misure di salvaguardia, il mostro può colpire come, quando e dove vuole.
Un attacco che l’Italia non può, non deve permettere che accada. Diversamente ci troveremmo a raccontare una seria minaccia all’immagine di un Paese propositore della dieta mediterranea che, è bene non dimenticarlo, ha come postulato base il consumo di olio extravergine d’oliva della migliore qualità. Quel che si dice di una eccellenza agroalimentare.
Pantaleo e il controllo della filiera
Di questo ne è pienamente convinto Donato Pantaleo, presidente dell’omonimo gruppo oleario di Fasano in attività dalla fine del XIX° secolo e tra i maggiori nel Mezzogiorno, con oltre 18 milioni di bottiglie vendute in mezzo mondo e un fatturato prossimo ai 65 milioni di euro. Convinzione che ha spinto l’imprenditore ad attuare in questi ultimi anni una serie di interventi strategici strutturali sugli indirizzi produttivi che hanno comportato importanti investimenti industriali e agricoli. Con l’obiettivo fisso di riuscire a chiudere il cerchio dell’intero processo di filiera.
Come a dire produrre olio d’oliva ‘Dalla pianta alla bottiglia’, per citare il claim coniato in occasione dell’inaugurazione, avvenuta in questi giorni, del nuovo impianto di produzione a ciclo continuo sorto alla periferia della città.
Un evento che non poteva avere miglior inizio, come quello di lavorare le prime olive provenienti dalla Pantaleo Agricola, la tenuta di famiglia da 150 ettari anch’essa di recente costituzione.
Oliandoli dal 1890, l’azienda fasanese per decenni si è occupata di brokeraggio. È negli anni ’50 che Nicola Pantaleo, coadiuvato dal figlio Donato, decide di intraprendere anche l’attività di frantoiano, trasformatore di olive. Siamo in piena Ricosruzione, i risultati non tardano ad arrivare e l’olio di oliva con il marchio di famiglia entra nelle case di molti italiani e si spinge in molti paesi esteri.
Ed é proprio l’export a pesare maggiormente nel bilancio aziendale. Il 75% della produzione, infatti, oggi viene esportato in decine e decine di paesi, dal nord Europa al Medio oriente, dagli Stati Uniti al Brasile, dall’India alla Corea del Sud. Fino al Giappone, dove l’olio Pantaleo distribuito da una controllata della conglomerata Mitsubishi è la marca più consumata dalle famiglie del Sol levante.
Forte di questo consenso sovrannazionale e con l’obiettivo di chiudere il cerchio della filiera produttiva, ecco prendere corpo l’opportunità di applicarsi direttamente in agricoltura. Una scelta che il presidente Pantaleo accarezza da tempo, ma che comincia a materializzarsi nei primi anni di questo decennio, in concomitanza al graduale inserimento al vertice aziendale dei due figli, Nicola e Luisa. Oggi saldamente alla guida delle dei due rami aziendali di quello che è diventato un piccolo gruppo agroindustriale.
Ecco allora la realizzazione di un nuovo frantoio con impianto di stoccaggio per 8mila tonnellate di olio, dotato di sette linee selezionatrici e 4 di imbottigliamento, in grado di lavorare migliaia di quintali di olive al giorno e confezionare 50mila bottiglie l’ora.
Ecco la tenuta agricola da 150 ettari, per buona parte coltivati a ulivi (oltre 15mila piante), ma anche ortaggi destinati a una linea di sottoli lavorati in un reparto annesso al nuovo stabilimento.
‘Questi investimenti – dice a TerraNostra Nicola Pantaleo, direttore generale della Spa – consentiranno al nostro gruppo di essere competitivo sulla fascia di mercato più alta, potendo produrre direttamente noi un olio biologico da olive coltivate esclusivamente in Puglia e destinato a diventare il nostro prodotto top di gamma’.
Investimenti che in termini di occupazione hanno significato l’assunzione di 10 dipendenti, in aggiunta ai 31 già occupati; che hanno richiesto un impegno finanziario da oltre 7 milioni di euro, tra fondi Psr regionali e ricorso al credito bancario, assistito da Intesa San Paolo; e, soprattutto, danno la cifra di un Sud Italia attivo, che produce qualità, sa cogliere le opportunità disponibili e investe per essere sempre più competitivo sui mercati domestico e internazionali. Un Sud che guarda lontano e sa andare oltre.
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