Il couscous? Assolutamente made in Italy. E non per partito preso. Che sia tra i migliori e richiesto in Italia e all’estero é il mercato a dirlo. Con le statistiche che fanno luce su una domanda domestica che da inizio millennio ha messo a segno un trend di crescita a due cifre. E la produzione più che triplicata: da meno 200mila quintali agli attuali 600mila. Prossimo traguardo, un milione di quintali nel 2020.
Di questa montagna di sfarinati da grano duro, orzo, farro, mais, riso … pronti per l’uso, solo la decima parte finisce sulle tavole degli italiani, mentre il 90% viene esportato in mezzo mondo. A conferma di una poderosa performance che ha pochi eguali nel settore agroalimentare, tenuto conto che si tratta di un alimento tutto sommato ancora nuovo nella cultura gastronomica nazionale. Dove a farla da padrone è stata una startup imprenditoriale nata sulle ceneri di un pastificio che rischiava di finire gambe all’aria.
Il couscous, dunque. Origini nordafricane e alimento tipico delle popolazioni magrebina e subsahariana, questa specialità culinaria è, al pari della pasta, assai diffusa da nord a sud, da est a ovest del globo. Lo è anche in Sicilia, terra impregnata di cultura araba e dove sul finire dell’estate (è il caso di questi giorni), a San Vito lo Capo di Trapani si celebra da anni una delle più importanti kermesse gastronomiche internazionali dal nome evocativo: ‘Couscous fest’.
Ma, curiosità vuole, che è parecchio più a nord, dove meno te lo aspetti che la trasformazione delle granaglie atte al preparato cibario ha trovato un insieme di fattori ambientali, imprenditoriali e capacità manageriali tali che ne hanno favorito lo sviluppo. Al punto da farne un vero e proprio distretto produttivo specializzato nella lavorazione di couscous made in Italy.
Il comprensorio è quello del comune di Argenta in provincia di Ferrara, delta del Po, terre che sconfinano nel Ravennate un tempo dominio di acquitrini e vegetazione infestante, rese salubri e coltivabili grazie alla bonifica risalente alla prima metà del secolo scorso. Qui il genio civile ha fatto miracoli, realizzando valli di espansione (contenitori di acque) che si estendono per centinaia e centinaia di ettari e 1.200 chilometri di canali sempre ben curati e tuttora perfettamente funzionanti.
Ad Argenta il couscous l’hanno scoperto relativamente da poco. Da quando nei primi anni del nuovo millennio il Pastificio Bacchini, tra i primi nella Penisola a investire nella produzione di pasta biologica, per una serie di errori gestionali ha rischiato di portare i libri in Tribunale. Rischio evitato grazie al provvidenziale ingresso in azienda di nuovi soci e manager che, oltre a portare capitali e cambiare la ragione sociale in Bia-Bacchini industria alimentare Spa, hanno pianificato un cambio di indirizzo produttivo puntando tutto il puntabile sul couscous.
Prodotto ‘povero’ ottenuto dalla lavorazione prevalente di semola di grano duro, questo alimento ben si presta per accompagnare pietanze in umido a base di pesce, carni, verdure. Il che ne fanno una proposta cerealicola naturale, ipocalorica, gustosa, di facile e veloce preparazione. Non solo, ma anche ampiamente accessibile a tutte le tasche, il che in questi anni di grave crisi ha trovato grande rispondenza nella diffusione dei consumi in Italia. Anche se, appunto, sono le esportazioni a fare la parte del leone.
Lo sa molto bene Luciano Pollini (foto), 62 anni, ingegnere e manager di lungo corso a capo della Bia, sotto la cui direzione l’azienda è stata rivoltata come un calzino e avviata a perseguire un severo e impegnativo progetto di rilancio. Scommessa vinta. Il risultato, infatti, é che in poco più di un decennio la nuova società è diventata il principale player di couscous made in Italy, tra i maggiori in ambito europeo e primo al mondo nella fornitura di prodotto da coltivazione biologica.
Come tutto ciò sia accaduto lo spiega a ‘TerraNostra’ lo stesso manager, intervenuto alla recente Fiera di Argenta’, nel corso della quale si è tenuta la prima edizione di ‘Oro d’Argenta’ abbinata al Campionato gastronomico tra allievi delle scuole alberghiere d’Italia, dove il couscous è stato uno degli ingredienti più gettonati. Per la cronaca il primo premio è andato all’istituto Tonino Guerra di Cervia.
Un prodotto relativamente nuovo per l’Italia, e il mercato tutto da costruire.
Certo, ma era anche il momento più giusto per sostenere una scelta imprenditoriale che ritenevamo innovativa e corretta, con una domanda che lasciava intravvedere buone opportunità di crescita. Pur sapendo che vi erano grosse difficoltà da affrontare. Tenga conto che in quel momento Bia disponeva di una nuovissima linea di produzione da 80mila quintali di couscous, ma ne sfornava a malapena 40mila. A fronte di un fatturato che nel 2005 non è andato oltre 2,7 milioni di euro, accusando una perdita netta di 700mila euro. Seguiti peraltro da altri due anni con il segno rosso.
Come ne siete usciti?
All’inizio del 2006 l’azionista a cui faceva capo la gestione si é fatto da parte. I restanti soci (Ricci, Donati e Gescad) hanno affidato al sottoscritto il compito di effettuare un turnaround per riportare a valore l’impresa, lavorando sulla diversificazione e selezione qualitativa dell’offerta. Ciò ha comportato fare investimenti in tecnologie innovative sul processo produttivo e, sul fronte commerciale, aprire a una politica più elastica che ci ha portato a produrre sia con il marchio Bia, sia con quello di partner terzi, il cosiddetto private label.
D’accordo sulla ristrutturazione finanziaria, ma sulla gestione come siete intervenuti?
In prima battuta abbiamo preso contatto con tutti i grandi pastifici italiani che avevano nell’estero il loro mercato di riferimento. L’obiettivo era quello di realizzare agreement atti ad aggiungere alla loro offerta anche il couscous, prodotto che all’estero è molto richiesto. Poi ci siamo rivolti alla Gdo, proponendo di produrre in private label oltre che a nostro marchio. Nell’uno e nell’altro caso il riscontro è stato immediato. Il risultato è che oggi Bia produce per quasi tutti i grandi marchi industriali e commerciali d’Italia.
Bia è così diventato leader con il 60% della produzione nazionale di couscous. Ed é anche un grande esportatore. Si sbaglia a pensare che all’estero l’esperienza italiana vi sia servita, o avete fatto altro?
Non si sbaglia a pensarlo. Abbiamo però anteposto anche una strategia di coinvolgimento dei principali produttori di piatti pronti, che sono importanti utilizzatori di couscous. Quel che posso dire inoltre è che oggi Bia Spa dispone di tre stabilimenti con più di 70 dipendenti e sforna qualcosa come 350mila quintali di prodotti. E non é il traguardo. Stiamo infatti pianificando nuove strutture che ci permetteranno già dal prossimo anno di incrementare la capacita produttiva a oltre 400mila quintali. Di tutto questo solo una minima parte, il 5% circa, è destinata al mercato italiano. L’altro 95% lo esportiamo in una cinquantina di paesi nel mondo. A cominciare dalla Francia che è il maggiore consumatore di couscous d’Europa, per questo molto esigenti e attenti alla qualità. Noi di Bia siamo orgogliosi di essere competitivi e spesso vincenti anche su questo mercato.
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