Una bottiglia di vino Amarone di 80 anni stimola palati e appetiti: i “nasi” farebbero carte false per poterlo degustare, i collezionisti pagherebbero chissà quanto per metterlo in cassaforte.
Appartiene a un privato cittadino bresciano e porta il sigillo della Cantina sociale di Negrar di Valpolicella. Ovvero la cantina a cui viene riconosciuto ufficialmente il merito di avere per prima coniato la denominazione “Amarone” e proposto in etichetta.
Era il 1936 e il vino di questa bottiglia (foto in apertura) risale a quella lontana vendemmia. Un buon motivo per i responsabili dell’enopolio Valpolicellese che, appuratane l’origine, hanno subito avviato trattative in esclusiva con il fortunato proprietario, del quale per opportunità si evita di fare nome.
La storia del nome Amarone narra di una scoperta casuale nella parte più oscura della cantina di Negrar di una botte piena di “Recioto Amaro”, vino passito di per sé dolce, che al palato del capo cantiniere Adelino Lucchese si rivelò di tutt’altro sapore: “Ma questo non è Amaro, è Amarone!”, esclamò assaporandone il contenuto.
Inizialmente il Lucchese pensò di mandarlo allo scarto, ma con diligenza volle prima informare dell’accaduto il presidente dell’allora cantina Gaetano Dall’Ora. Il quale, intrigato della scoperta, volle assaggiarlo. Sorpreso del risultato, dette ordine di imbottigliarlo etichettandolo col nome di “Amarone extra”.
Era appunto il 1936, l’Italia monarchica e fascista annette l’Etiopia, la Fiat lancia la “500 Topolino”, e la giovane Cantina di Negrar fondata tre anni prima “inventa” l’Amarone. Delle poche bottiglie di quella storica annata però si sarebbero perse ben presto le tracce.
Al contrario esiste una lettera del 1942 – lo ricorda l’attuale direttore della Cantina di Negrar, Daniele Accordini (foto sotto) – in cui si parla di una spedizione di “Fiaschetti di Amarone 1938”; e poi ci sono le tre bottiglie di Amarone Extra 1939 (foto accanto) gelosamente conservate in un’apposita teca nei sotterranei della sede di Negrar.
Così la versione storica ampiamente riconosciuta dal medesimo Consorzio di tutela. Tuttavia chi scrive più volte ha ascoltato altri vignaioli del territorio reclamare la primogenitura dell’Amarone: tutti con la stessa motivazione della botte di vino prodotto da qualche loro avo, dimenticata in cantina e poi ritrovata con intatto il succo di Bacco che sappiamo.
La trattativa del nuovo negozio doveva restare top secret. Ma spesso i segreti hanno vita breve, come questo contratto che a “TerraNostra” risulta essere entrato nella fase più delicata: quella relativa alla fissazione del prezzo.
L’operazione non è così semplice, visto che esempi similari non ce ne sono in giro. Il titolare di una famosa enoteca milanese, interpellato per l’occasione, non ha saputo o voluto fare valutazioni. Un suo collega, alla maniera di San Tommaso ha chiesto di vedere prima la bottiglia in questione (che naturalmente non è di facile acquisizione). L’uno e l’altro però, a spanne, hanno accennato a qualche decina di migliaia di euro.
A questo punto non resta che aspettare di sapere dai diretti interessati come va a finire l’intera trattativa. E naturalmente a Negrar sarebbero ben felici di portare a casa la “loro” prima bottiglia di Amarone extra.
Costituita nel 1933 a opera di un ciuffo di imprenditori, coltivatori e professionisti locali, oggi la Cantina di Negrar annovera 230 soci, con 770 ettari di vigneti in produzione e 7 milioni di bottiglie di vino. Di cui un milione solo di Amarone.
Numeri che collocano l’impresa in buona posizione in Italia e all’estero: merito di un’offerta diversificata e un buon rapporto qualità-prezzo. Con al top il brand Domìni Veneti di cui la linea “Amarone espressioni” che, per dirla con il direttore Accordini , esprime “identità diverse di Amarone delle differenti aree della Valpolicella classica”.