“Entro fine anno, massimo fine inverno, Veronafiere potrà indossare la casacca della Società per azione”.
Si era in piena estate scorsa e questo blog – “TerraNostra” – scriveva quanto il Consiglio di amministrazione decise di approvare all’unanimità la trasformazione dell’Ente fiera in Società per azione. Ora lo stesso Cda, incassato l’assenso della Giunta Regionale Veneto al Piano di riordino dell’Ente redatto dal presidente Maurizio Danese (foto accanto) e dal direttore generale Giovanni Mantovani, ha fissato per il 29 di novembre l’Assemblea dei soci per il via libero definitivo alla Spa.
Non è dato sapere, ma non è escluso, se in quell’occasione si parlerà anche dell’eventuale quotazione alla Borsa valori, sulla falsariga di quanto già fatto da Fiera Milano. Più veritiera è la possibilità che si discuta del nuovo Piano industriale dell’Ente, di cui già nel corso dell’ultimo VinItaly si vociferava la presentazione entro l’anno.
Quel che è certo è che la trasformazione in Spa costituisce per Veronafiere un passaggio epocale di assoluta importanza, anticipatore di iniziative industriali strategiche destinate a rafforzare l’ambito operativo dell’Ente. Già oggi l’azienda è seconda per fatturato: 75,6 milioni di euro nel 2015, con il consolidato a 89,5 milioni e comprendente i valori relativi a partecipazioni e controllate (Piemmeti Spa, Veronafiere do Brasil, Veronafiere Servizi, Médinit Srl).
Ed è addirittura prima in Italia in quanto organizzatore diretto di manifestazioni. Infatti su circa 65 eventi espositivi il 90% risulta di proprietà, cosa che colloca Veronafiere al vertice nel panorama fieristico nazionale.
Fondata nel 1898 come Fiera dell’Agricoltura e dei Cavalli, oggi Veronafiere dispone di un ricco quanto diversificato portafogli di eventi specializzati sia in ambito agroalimentare (Fiera Agricola, Fieracavalli, VinItaly & Sol) sia in altri ambiti produttivi e di servizi (Fiera del Marmo, Macchine movimento terra, edilizia, costruzioni, trasporti, automotive, arredamento, sport & turismo e formazione universitaria).
Non meno importante e la campagna di globalizzazione di propri brand, facilitata da accordi di collaborazione con istituzioni e partner internazionali, sicché oggi Veronafiere è forte in casa e dispone di ottime entrature in diversi altri paesi del mondo, dalle Americhe all’Asia.
E a proposito di internazionalizzazione e pesi specifici dei poli espositivi, il direttore generale Mantovani (foto accanto), parlando nei giorni scorsi di sistema fieristico a una conviviale promossa dal Rotary Est di Milano, ha detto che negli ultimi 15 anni i rapporti di forza del mercato fieristico mondiale è cambiato.
Lo confermano i numeri. Giacché se nel 2000 il 64% di tutte le fiere era appannaggio dell’Europa, oggi questa quota è scesa sotto il 45 per cento. Con l’America del Nord che ha mantenuto le proprie quote intorno al 30%, mentre quelli che una volta erano genericamente definiti “altri Paesi” sono diventati (Far East in testa) portatori di un altro 25 per cento. Con la prospettiva di incremento per fare un ulteriore passo avanti.
Ma il cambiamento è forte anche in Europa, con l’Italia ormai ridotta sostanzialmente a tre grandi poli geografici (Milano, Verona-Vicenza, Bologna-Parma-Rimini) che vantano alcune rassegne specializzate di caratura mondiale. Ma con prospettive tutte da considerare. Colpisce infatti sapere che i primi 10 organizzatori fieristici italiani vendono in un anno circa due milioni di metri quadri di area espositiva (circa il 60% del totale nazionale), quando in Germania la sola “Frankfurt messe” vende oltre 2,2 milioni di metri quadri.
E tanto basta per dire che se l’Italia delle Fiere vuole continuare ad avere un ruolo da protagonista in Europa e nel mondo, è ora che si dia una mossa e pensi a nuove e più efficaci strategie.