di Giulia Maria Basile
L’universo del disegno è così vasto che cercare di racchiuderlo dentro dei confini risulta davvero un’impresa impossibile. Tuttavia, a Rimini c’è chi con la Biennale del Disegno, che ha visto la luce due anni fa, ha voluto tracciare un percorso in quest’arte cangiante e variegata, di cui se ne riconosce l’importanza con la seconda edizione in corso d’opera (23 aprile – 10 luglio 2016).
Il risultato è un concentrato di espressioni artistiche tra le più diverse e profonde di ciò che può essere il disegno. Che quest’anno, grazie al Circuito Open, ha avuto un vero e proprio effetto contagio, coinvolgendo un numero incredibile di siti espositivi istituzionali, gallerie d’arte, studi di architettura e persino negozi e punti vendita di generi diversi ramificati sull’intera mappa cittadina.
Una miriade di opere esposte dal Castel Sismondo al FAR Fabbrica Arte Rimini, dal Teatro Galli al Palazzo Gambalunga – solo per citarne alcuni – senza dimenticare il Museo della Città, dove si lascia gran voce anche al progetto del Cantiere Disegno: uno spazio vasto e materico nella sua essenzialità, dove il disegno si ibrida con materiali e concetti contemporanei dai significati universali.
Ci accoglie il Passotriplo di Alessandro Pessoli, Stefano Ricci e Gianluigi Toccafondo che propone il disegno come narrazione fluida e in divenire, la parodia giudiziaria che in Zona derattizzata fa Ericailcane, la rivisitazione del Test di Rorschach secondo l’estro sperimentale di Marianna Balducci (Personal Rorschach Test) o l’optical grafica di Andrea Pironi nel Magnetic uno.
Ma il fulcro tematico della Biennale quest’anno è raccolto da Profili del mondo, che indaga a passo doppio gli aspetti molteplici che il disegno dà del mondo attraverso un percorso tra l’umano e il paesaggio, e attraverso un rapporto vivificato tra il disegno storico e quello contemporaneo.
Ecco allora un Luigi Russolo divisionista del 1909 (Senza titolo, probabilmente un ritratto dell’amico Umberto Boccioni), per passare poi da un’icona grafica di Guido Reni (1575-1642), Testa di Cristo coronata di spine, a un’insolita creazione del Verbo secondo Kiki Smith, Virgin Mary, dove il disegno si concretizza in una scultura concettuale.
E ancora, l’accostamento tra il Nudo virile del Guercino (1591-1666) e la Figura maschile ignuda di Luigi Busi (1838-1884) che si staglia sulla traccia della quadratura delle proporzioni e rende, così, il disegno ancora più vitale.
Notevoli sono anche l’intenso e pensoso Ritratto di uomo con capo appoggiato alla mano, probabilmente del 1920-1922 di Domenico Rambelli, il Souvenir David del 2008 di Fabio Viale che da un basamento di 3 blocchi di grafite fa fuoriuscire una mano michelangiolesca tatuata con i segni tipici della mafia russa, e l’Uomo che frusta la propria ombra del 1983 in cui Claudio Parmiggiani rappresenta l’artista che fa i conti con la propria proiezione.
La pluridisciplinarità della Biennale si esplica anche in un passaggio dal disegno erotico per mano di Federico Fellini e di Tonino Guerra, alla puntata archeologica ed etnografica offerta dal Fondo des Vergers alla scoperta dei nuovi mondi, fino all’anticipatore delle correnti poveriste Pino Pascali che, in una cinquantina di disegni per i Caroselli Rai, riesce a portare avanti un’arte di rottura, giocosa che inciderà parecchio sulla televisione e la pubblicità future.
Nelle Sale Antiche della Biblioteca Gambalunga si gode del contrasto dato da Tullio Pericoli nei suoi profili di paesaggi che si dilatano in dimensioni oniriche e di personalissima immaginazione, mentre I Marziani approdano al Castel Sismondo: sedici artisti italiani (tra cui Enrico Baj, Fortunato Depero e Bruno Munari) si pongono come anticipatori fuori moda di una dimensione privata dell’esistenza umana che si impone e si oppone al sistema vigente.
Ancora, gli studi di un Mario Sironi militante, il liberty pieno di Galileo Chini, la grafica dall’efficacia non narrativa ma semantica di Giancarlo Valentini, il volume e la monumentalità delle figure femminili di Rambelli, le pubblicità di Orlando Orlandi, e gli innesti dei disegni sulla carta di recupero dalle scene teatrali di Luca Caccioni esposti nel Complesso degli Agostiniani.
Infine, nell’androne del Teatro Galli si libera la forza dirompente e creativa di Andrea Pazienza, il fumettista che si fa pittorico per raccontare il suo tempo, quello degli anni ’70, attraverso disegni che il più delle volte non hanno bisogno nemmeno di una fase preparatoria, o meglio, Pazienza non ne ha bisogno, tale era il genio della sua mano e della sua mente da cui spesso cercava comunque evasione.
Si possono notare delle pedate sui fogli disegnati che Pazienza buttava per terra nel suo disordine creativo, ma il suo tratto non ha inquietudine e le sue storie sono incisive come il talento che si sprigiona sulla carta, partendo dalle conoscenze accademiche verso un’appropriazione totale di tecniche diverse.
Pentothal, Zanardi e il graphic novel Pompeo sono opere autoreferenziali e quasi cronistiche di quegli anni, dove Pazienza appare in veste diabolica o sofferente attraverso il suo alter-ego, così come non meno indicativi del flusso di immagini e fantasie che gli vivificano l’anima sono manifesti, locandine, copertine di album musicali, e tutta la sua produzione vignettistica e illustrativa per il Cannibale, Il Male e Frigidaire.
Se è ancora diffusa l’opinione di coloro che non si convincono del valore del disegno, per via di quell’accezione negativa che accompagna qualsiasi cosa venga considerata solo una fase preparatoria, ebbene, il disegno non è solo quello, ma anche lo fosse non sarebbe meno significativo: il disegno è conoscenza in divenire, un racconto che si fa da solo e che diventa un piacere guardare, penetrare e scoprire.