Lo hanno chiamato olio degli incontri, ma ben si addice definirlo anche olio della pace. Per via dell’ulivo che è simbolo di pace, e per il concomitante battesimo di mercato avvenuto alla vigilia di Pasqua, festa di resurrezione. E di pace, purtroppo mai come oggi minacciata dal fanatismo religioso.
L’olio in questione è un extravergine d’oliva toscano ottenuto da giovani piante. E questo primo raccolto ha permesso di produrre 300 bottiglie da 250 ml, di cui alcune confezioni sono state donate a istituzioni e personalità, tra cui Papa Francesco, il capo dello Stato Sergio Mattarella e il premier Matteo Renzi. Il grosso della partita, viene ceduto a un prezzo di affezione (19 euro) e il ricavato destinato a opere di bene. Il che fa capire che non è solo il nome a rendere la sua storia meritevole di attenzione.
Infatti l’olio degli incontri, ancorché avere proprietà qualitative intrinseche proprie di un extravergine d’oliva, è ottenuto con metodi di coltivazione sostenibile e premitura a freddo. Un approccio a cui sempre più aziende agricole si stanno uniformando.
Ma ciò che lo rende esclusivo rispetto ad altri oli d’oliva, è la combinazione tra il saper fare di un’azienda agricola di consolidata esperienza, qual è Marchesi de’ Frescobaldi; la disponibilità di un’agenzia attiva nel campo della formazione, qual è Cescot di Confesercenti; e la voglia di un gruppo di detenuti ospiti del penitenziario di Sollicciano, in Toscana, di apprendere il mestiere dell’agricoltore.
Come dire di imprese private – la prima che produce e vende vini e olio in mezzo mondo in regime di libera concorrenza e a seconda che promuove servizi -, alleate a contadini di nuova generazione che, com’è intuibile, vivono e producono in condizioni tutt’altro che libere. Entità, cioè, quanto mai distanti per vocazione e interessi, eppure così vicine e unite, in quanto partecipi di uno stesso progetto aperto al sociale. Progetto che, nel caso di Frescobaldi, si rifà a un precedente esempio di successo, contestualizzato in altri ambiti e occasioni.
Nei fatti, esso si estrinseca in un apporto metodologico che l’azienda agricola applica nelle sue tenute e che, per l’occasione, ha messo a disposizione dell’istituzione carceraria, permettendo così ai reclusi che lavorano i campi circondariali di disporre di consulenze agronomiche qualificate e strumenti idonei a coltivare la terra e produrre olio d’oliva di qualità.
Ma anche vino, com’è nel caso del progetto del 2012 avviato con la comunità del penitenziario di Gorgona, uno scoglio dell’arcipelago toscano che ospita l’ultima struttura circondariale rimasta attiva su un’isola italiana. Qui i detenuti trascorrono l’ultima fase della pena da scontare lavorando nei vigneti che hanno contribuito a far crescere, imparando nel frattempo tecniche di coltivazione che diversamente non avrebbero mai potuto apprendere e che, una volta liberi nella società, permetteranno loro la possibilità di reinserirsi con decoro e professionalità nella realtà lavorativa.
Non a caso il presidente dell’azienda Lamberto Frescobaldi, parlando dell’olio di Sollicciano e del vino di Gorgona, ha detto che “obiettivo comune dei due progetti, è dare ai detenuti una concreta possibilità di rivalsa e di reinserimento reale nella società”. Aggiungendo che la loro evoluzione, “è un segno tangibile del fatto che tra pubblico e privato le cose possono funzionare”. Con la speranza che “non rimanga un caso isolato, ma diventi un esempio da praticare ed esportare nel mondo”.