Sono un centinaio i cerchi in ferro che poggiano sulla sommità della collina dei tre cipressi: aggrovigliati tra loro, formano una sorta di nuvola trasparente che ben si integra con l’ambiente circostante, a prevalente coltura viticola.
Il luogo è a un tiro di schioppo dalla possente Abbazia di Rosazzo (foto a lato e sotto by Luigi Vitale) che risale all’anno Mille, a metà strada tra l’Isonzo, fiume sacro alla Patria, e il confine con la Slovenia: dalla sua sommità, nei giorni di bel tempo si scorge il mare di Trieste, distante alcune decine di chilometri. Oggi però le nuvole volano basse e nell’aria già si sente l’odore terrigno della pioggia.
Il momento è quello clou che precede una ricorrenza importante, un evento a cui si tiene molto. Com’è il caso dell’inaugurazione del nascente “Vigne Museum”, di cui la “nuvola” costituisce l’opera prima, che i figli di Livio Felluga hanno deciso di realizzare nel bel mezzo dei vigneti di Friulano, Pinot, Malvasia, Merlot, Cabernet che possiedono a Rosazzo, affidandone il compito a due artisti di vaglia internazionale, quali sono Yona Friedman e Jean-Baptiste Decavéle.
L’opera costituisce il pegno di riconoscenza che i fratelli Maurizio, Elda, Andrea e Filippo Felluga hanno voluto fare per onorare l’intraprendenza dell’anziano papà Livio, fondatore dell’omonima azienda vintivinicola di Manzano. Un pegno culturale prima di tutto, che fa il paio con un frutto tipico della terra friulana – il vino – per il quale Felluga senior è, a ragione, considerato tra i capostipite della moderna enologia regionale fatta di ricerca, selezione clonale, qualità. Ecco allora l’apoteosi che si materializza nella cantina del 1200 dell’Abbazia, la più antica del Friuli Venezia-Giulia, con la presentazione di “100”, il vino (un bianco Rosazzo Doc 2013 prodotto in 400 bottiglie magnum e non ripetibile) che i fratelli Felluga hanno elaborato per celebrare l’augusta occasione dei 100 anni di vita del padre Livio.
Un secolo sono tanti per un essere umano, ma pochi per le cose che qualsiasi persona vorrebbe compiere nel corso della propria vita, se ne avesse il tempo: Livio il suo tempo lo ha vissuto restando continuamente impegnato a contatto con la terra e il vino, costruendo appezzamento su appezzamento un’impresa di 155 ettari di vigneti tra Colli Orientali Doc e Collio, con 800mila bottiglie di cui il 40% esportate in 90 paesi, la locanda con ristoro “Terre & Vini” a Cormòns e dal 2009 anche la gestione dei 15 ettari di vigneti dell’Abbazia di proprietà della Curia di Udine.
Nato Istriano in una famiglia di vinattieri il 1° di settembre 1914, un mese prima che scoppiasse il primo conflitto mondiale 1914-’18, a otto anni Livio accompagna il padre Giovanni che va a vendere vino a Grado; a 15 già si muove da solo con piglio sicuro allargando la zona operativa a tutto il Friuli, dove a 20 decide di trasferirsi armi e bagagli con la sorella Rita. Il vino, insomma, lo rapisce completamente. Al punto che, oltre a venderlo, vuole anche produrlo. Ma arriva la seconda catastrofe mondiale e Livio veste la divisa di soldato per otto anni, tra campagna in Nord Africa e tre anni di prigionia in Scozia. Finché, una volta libero, torna nella sua terra adottiva per riprendere il lavoro interrotto di vignaiolo.
È stato lui, Livio Felluga, tra i primi a credere negli anni Cinquanta nelle potenzialità viticole del territorio friulano, quando tanti, troppi contadini lasciavano la campagna, attratti dal miraggio di fare fortuna nelle fabbriche delle grandi città del Nord, se non addirittura espatriando.
Ma se <la terra non viene calpestata, si depaupera>, ha sempre sostenuto l’arguto vignaiolo ai figli che, come lui, hanno intrapreso tutti la medesima attività. Un concetto che fa suo Maurizio Felluga, il maggiore dei figli e presidente dell’azienda, aprendo il convegno internazionale del centenario su “Arte e Impresa a tutela del paesaggio rurale”.
Il tema, manco a dirlo, è di grande attualità e sta appassionando nuove generazioni che, come tanti Cincinnati, stanno riscoprendo la valenza dell’agricoltura quale variabile estremamente utile per mettere in moto un nuovo sviluppo economico e sociale. Se ne sono accorti persino gli euro burocrati che nella recente riforma della Pac hanno inserito un capitolo dedicato allo sviluppo rurale.
Sviluppo che, come ha sostenuto la giovane e concreta Governatrice del Friuli Venezia-Giulia Debora Serracchiani, è necessario conseguire <investendo anche nell’arte, nella cultura, nel turismo, nel territorio con la consapevolezza di cambiare (lo status quo, ndr). Sapremo farlo? Non lo so; so invece che bisogna costruire il futuro e, ora, spetta a noi farlo. Come ha sempre fatto Livio Felluga, al quale va la riconoscenza di tutti noi>.
Parole importanti e incoraggianti quelle della Serracchiani che hanno commosso più di un animo tra i tanti ascoltatori in sala. Dove l’unico assente era il diretto interessato, rimasto a casa per precauzione, vista la giornata umida. Anche se chi conosce Livio Felluga sa che ama dire ‘ma io “Cossa go fato de grande?”.