Vino, quello che non è stato detto sul braccio di ferro Ue-Cina – Le carenze dell’Italia

Le interviste di “terra Nostra”: Fabio Carlesi, direttore generale di Ente Vini Enoteca Italiana, Siena

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Quello che a fine primavera aveva tutta l'aria di essere un braccio di ferro, anticamera di una guerra commerciale tra Europa e Cina – scaturito da un eccessivo import Ue di pannelli solari cinesi, da un lato e minaccia di superdazi all’import di vino Ue, dall’altro – sembra avviato a un ordinato rientro. A quanto pare, senza gravi penalizzazioni per alcuno. Meglio così. Vuol dire che la diplomazia dei contendenti si è mossa bene e in tempo utile a smorzare le tensioni sul nascere.

     Sappiamo che il confronto tra Pechino e Bruxelles continua l'iter istituzionale, tuttavia per ciò che riguarda l’eventuale applicazione di superdazi all’export vinicolo della Penisola, la procedura risulterebbe già archiviata. Lo confermerebbe l’informativa di “non luogo a procedere” trasmessa nei giorni scorsi dalle autorità al gruppo vinicolo Cevico, l’unico player italiano per il quale era stata aperta una procedura di osservazione sui flussi all’export verso la Cina. Export che, giova ricordarlo, vede l’Italia coinvolta con un centinaio di cantine per un totale di 200mila ettolitri e mezzo miliardo di Yuan. Non molto rispetto alla Francia, primo paese esportatore con 1,3 milioni di ettolitri e 4,6 miliardi di Yuan (dati 2012): il 53% del totale importato dal grande paese asiatico.

     Enoteca It. dg Fabio CarlesiAlla luce di tutto questo, verrebbe da dire che tutto è bene quel che finisce bene, se non fosse che in questa storia di piena estate la parola fine non è stata ancora scritta. Ma è un timore che <non ha motivo di essere>, commenta al blog “Terra Nostra” il direttore generale dell’Ente vini Enoteca Italiana di Siena, Fabio Carlesi (foto), che il mercato cinese lo frequenta da anni. Da quando una manciata di anni fa l’Ente ha deciso di insediarvi (a Shanghai) una propria sede di rappresentanza per promuovere la cultura del vino made in Italy. Sede trasformata nel 2008 in società di diritto cinese controllata al 100% da Enoteca Italiana che, per inciso, è l’unica enoteca nazionale pubblica riconosciuta per decreto presidenziale.

     Dottor Carlesi, cosa la induce a credere che non vi è motivo di essere preoccupati da questo braccio di ferro?

     Ma perché i contendenti sanno bene che non si arriva a innescare una guerra commerciale partendo da motivi tutto sommato marginali rispetto all’interscambio complessivo tra le parti. Certo, l’informazione ha fatto il proprio lavoro dando risalto alle minacce cinesi di superdazi, ma francamente non ho mai creduto che si arrivasse a tanto. D’altra parte, anche paesi come la Russia e il Brasile in passato hanno fatto minacce simili alla Ue, senza fare mai seguire atti concreti in tal senso.

    E allora perché, secondo lei, Pechino ha scelto proprio il vino per controbilanciare la decisione Ue sui pannelli solari?

     Ecco, questo è un aspetto importante che nessuno finora ha cercato di spiegare agli europei. s'è scritto di export in dumping. In realtà, penso che Pechino abbia deciso di proteggere i vignaioli locali, preoccupati per il loro futuro a causa della maggior forza competitiva dei vini importati. Non dimentichiamo che negli ultimi quindici vent’anni la viticoltura cinese ha fatto passi da giganti, al punto da diventare il quinto maggior produttore di vino al mondo, dopo Francia, Italia, Spagna, Stati Uniti e Argentina. Una posizione che ritengo non sia il loro traguardo finale.

     Dunque, quanto accaduto può essere un piccolo assaggio di qualcosa di ben più serio che potrebbe accadere nel prossimo futuro, quando i cinesi avranno maturato una maggiore capacità produttiva ed esperienza nel settore enologico?

     Guardi, la Cina è un paese che ha enormi potenzialità in tutti i campi e, va da sé, anche in materia di agricoltura ed enologia. Ritengo che in fatto di vino il loro impegno proseguirà sulla strada intrapresa. Ma questo non sarà un limite per quanti vorranno esportare in quel paese. Il problema è che bisogna investire e l’Italia su questo fronte non eccelle di certo.

     Diciamo che è fuori dai grandi giochi, visto che più della metà dell’import cinese è in mani francesi e ciò che resta vede australiani, spagnoli e argentini in forte vantaggio rispetto agli italiani.

     Fuorigioco del tutto non direi: negli ultimi cinque anni il nostro export è infatti cresciuto, e di molto. Certo, avremmo potuto fare di più se ci fossero stati investimenti adeguati in promozione e, soprattutto, se ci fosse stato un minimo di coordinamento nelle iniziative adottate.

     A chi spetta questo coordinamento? All’Ice, al ministero dell’Agricoltura, a quello dello Sviluppo economico, alle singole regioni…?

     Non spetta a me dirlo. Dico invece che pensare di andare in Cina a promuovere il vino di quella o quell’altra provincia quando molti cinesi non sanno nemmeno dove sta l
o Stivale, beh, francamente è un errore madornale.

     Operazioni di piccolo cabotaggio che nei fatti finiscono per essere una sorta di viaggi premi per la casta promotrice dell'iniziativa?

     Non rispondo alle provocazioni. Dico invece che l’Italia è il paese dei mille vini, ciascuno espressione di un proprio territorio: un vantaggio rispetto ad altri competitori che, però, perde di intensità mancando quella regia unica che a mio parere dev'essere necessaria per comunicare l’immagine del Paese Italia.

     Enoteca Italiana, venendo con una propria struttura in Cina, ha fatto una scelta di grande coraggio. Ora, al di là del fatto che lei è direttamente interessato all’iniziativa, ritiene che questa esperienza possa essere un modello ottimale da mettere al servizio del vino made in Italy?

     Enoteca ItalianaIn Cina è fondamentale non mettere in discussione l’ideologia di base. Per il resto si può fare molto. Noi dell’Ente Vini (nella foto, particolare dell'Enoteca italiana di Siena) abbiamo deciso di aprire la sede di Shanghai e di metterla al servizio di tutti i produttori e vini italiani che vogliono esportare in questo paese. Ho già detto che qui ci sono notevoli potenzialità di crescita, ma bisogna saperle cogliere. Noi offriamo assistenza a 360 gradi alle imprese italiane che si rivolgono a noi, ma anche agli operatori cinesi che intendono prendere contatti con aziende italiane. Ci occupiamo di comunicazione, istituiamo corsi di formazione per sommelier, divulghiamo ogni tipo di news sulle metodiche produttive, facciamo cultura e anche intermediazione commerciale. In questo senso abbiamo instaurato solidi rapporti con catene distributive che stanno dando ottimi risultati. In virtù di questa specializzazione, Enoteca Italiana di Shanghai (ci lavorano otto persone di cui 6 locali, diretti da Giovanni Pugliese) è stata chiamatadalle autorità cinesi a fare parte della Commissione che si occupa di monitorare il fenomeno della contraffazione enologica. Un fenomeno che evidentemente preoccupa molto anche l’amministrazione cinese.

     Che aiuto avete avuto dalle istituzioni italiane?

     Molte sono le aziende che si affidano ai nostri uffici. A livello istituzionale siamo coinvolti nel programma di promozione che il ministero dello Sviluppo economico ha affidato all’Unione italiana vini e a Federvini. Per il resto l’investimento ricade tutto sulle nostre spalle.

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