Storie di vini e d’imprese che hanno fatto da battistrada al successo del made in Italy nel mondo

All’origine del made in Italy”. È il titolo di un mio libro scritto un bel po’ di anni fa in cui si narra la storia del marchio Cirio e del suo fondatore, Francesco Cirio: un piemontese naturalizzato campano di cui l’Italia va fiera e che, nel mezzo del secolo XIX° è stato artefice di un progetto imprenditoriale che ha rivoluzionato i costumi alimentari, non solo degli italiani.
2006-cirio-allorigine-del-made-in-italyUna storia a cavallo di due secoli. Intrigante sotto diversi punti di vista: da quello industriale, che vede un intraprendente giovanotto partito da zero fare sua la tecnica della conservazione dei cibi in scatola messa a punto dal francese Nicolas Appert, a quello personale ricco di aneddoti anche sentimentali, nonché colpi di scena gestionali, di fallimenti e finanzieri avvoltoi. E ancora, di capovolgimenti di fronte e relativi successi che continuano tuttora.
Una storia antica ma attualissima per i valori insiti nel progetto che permisero al suo ideatore di avviare egli stesso le prime esportazioni di prodotti alimentari italiani in territori ben lontani. Quando i collegamenti tra paesi erano solo terrestri e marittimi, non certo con le autostrade di oggi.
Appunto, all’origine del made in Italy. Che per stare circoscritti al settore del vino, di cui s’è appena celebrata la consueta kermesse veronese del VinItaly, ha visto non pochi protagonisti produttori rimarcare iniziative che, traendo spunti dal passato, hanno trovato motivo di esaltazione del presente, guardando al futuro.
Dal primo Prosecco …
È questo il senso dell’azione che Carpené Malvolti, primaria Casa spumantistica del Trevigiano fondata da Antonio Carpené nel 1868, ha condensato nella ricerca “Una marca nel tempo” condotta dagli studenti della Scuola Enologica di Conegliano e dalla Fondazione Its Academy.
Ricerca che ha permesso a futuri enologi di scandagliare il percorso evolutivo di questa azienda che è stata tra le primissime a mettere in bottiglia il vino spumante e, per rimarcare un prodotto oggi di gran moda e successo, “la prima a utilizzare in etichetta la denominazione Prosecco”.
il-1-prosecco-di-carpeneAllo stesso tempo il lavoro dei giovani studenti ha evidenziato che lo spirito innovativo di una impresa e del suo prodotto hanno nella comunicazione e promozione un formidabile alleato di marketing che, opportunamente gestito, si tramuta in strumento necessario alla valorizzazione e diffusione del marchio sui mercati. Una combinazione di fattori che per Rosanna Carpené, figlia di Etile, sono da sempre nel DNA dell’azienda da cinque generazioni della famiglia fondatrice.
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… al vino di Leonardo …
Una storia a ritroso? Macché, solo il pretesto per passare da un vino spumeggiante a un personaggio universale e geniale come Leonardo da Vinci che, in occasione del cinquecentenario della sua morte, avvenuta il 2 maggio del 1519 ad Amboise, in Francia, è stato diciamo così omaggiato di un museo diverso rispetto a molti altri esistenti per la tematica trattata e inaugurato a suo nome, in quanto vignaiolo.
Proprio così. Per quei pochi che non lo sanno ancora, l’Artista, lo Scienziato, l’Inventore, il Genio è stato anche agronomo, enologo e proprietario di alcuni poderi a Milano, a Fiesole, a Vinci, città natale che lo vide correre bimbo tra le vigne di famiglia (che da grande riceverà in eredità da un suo zio), prima di andare a bottega dal Verrocchio a Firenze. E da lì prendere il volo per l’immortalità.
Il museo “Leonardo e il vino” si trova poco fuori Vinci, sul cocuzzolo di una dolce collina circondata da filari di vigna ben ordinati da sembrare il classico giardino all’italiana, di proprietà dell’azienda agricola che porta il suo nome: Villa da Vinci della Leonardo da Vinci Spa, controllata del gruppo Caviro, tra le più grandi cooperative vitivinicole della Penisola che, in questo modo, ha voluto rendere un tributo alla grandezza dell’uomo e a quanto egli ha fatto anche per la cultura del vino.
milano-vigna-di-leonardo-2Un impegno che rivela attaccamento e interesse per l’agricoltura e la coltivazione della vite e dell’olivo, di cui il museo propone un percorso simbolico fatto documenti, dipinti, scritti e schizzi di prima mano di Leonardo. Come pure opere ufficialmente false, di autori anche recenti che imitano alla perfezione gli originali. E che, volendo, testimoniano ancora una volta la grandezza del personaggio nelle vesti di vignaiolo, che qualcuno invece vuole fosse astemio, ma che di fatto i curatori dell’opera – lo studioso leonardesco Alessandro Vezzoli e l’analista sensoriale di vini Luca Maroni – dimostrano l’esatto contrario.
Di più. Dicono che il Genio aveva passione smisurata per l’agricoltura e la coltivazione della vite; per il vino che egli amava bere e che consigliava di consumare con sobrietà e mai a stomaco vuoto. Suggerendo al suo fattore di come fare un vino rosso vermiglio, il padre del Chianti, che per essere buono necessita portare in cantina uve mature e sane, prive di marciume.
Appunto, come ricordano gli scritti del Genio ripresi con puntigliosa precisione dai curatori del museo e del libro “Il vino di Leonardo” che non può non citare la vicenda dell’ettaro di vigna che l’Artista ricevette dall’allora Signore di Milano Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, alla consegna del Cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano. Proprio di fronte a Casa Atellani, in Corso Magenta, dove da qualche anno è tornata a nuova vita la vigna di Leonardo da Vinci (foto, un particolare della vigna).
… ai vini del Vulcano
Dalla Toscana alla Campania. Da un museo appena inaugurato, a uno che sta per esserlo: quello che l’azienda irpina Mastroberardino ha realizzato nella cantina di casa, ad Atripalda. Un nome storico della vitivinicoltura italiana, il suo, di cui si ha notizia sin dai primi decenni del Settecento, quando Napoli era la capitale del Regno delle due Sicilie, sotto la giurisdizione dei Borboni.
Bisognerà però aspettare ancora quasi 150 anni (1878) per l ’iscrizione al registro delle imprese della CdC di Avellino. Ed è da quella data che la famiglia Mastroberardino intraprenderà l’attività produttiva e commerciale, che ben presto si traduce in apertura ai mercati esteri.
campania-vigneti-tra-le-valli-di-atripaldaUna scelta obbligata per chiunque allora volesse produrre e vendere vino. Una scelta comprensibile, stante la prevalente attività contadina degli italiani di quel tempo che il vino da bere se lo producevano pigiando in casa la propria uva. Motivo per cui le poche vinicole esistenti puntavano a esportare, magari seguendo gli stessi percorsi delle milizie nazionali che andavano a occupare nuovi territori (foto, il paesaggio dell’Irpinia).
Ecco la campagna di Libia e conquista della Tripolitania nei primi anni del “secolo breve”, con i vini a marchio Mastroberardino che varcano per la prima volta il Mediterraneo. Ma anche sbarco su nuovi mercati realizzati ripercorrendo i flussi migratori degli italiani in Nord e Sud America.
Storie che narrano di figli che intraprendono viaggi di mesi in Paesi lontani, dove la cultura del vino non esisteva del tutto e, al ritorno a casa, fanno per filo e per segno il rendiconto di ogni loro spostamento e accadimento. Storie e dettagli di imprese che sono anche uno spaccato fedele di una nuova Italia che stava nascendo e che non avremmo mai saputo, se non fosse che la famiglia Mastroberardino ha deciso di raccogliere e rendere il tutto in qualche modo pubblico, grazie al “MiMa”.
Si tratta, appunto, del museo d’impresa che la proprietà e il presidente Piero Mastroberardino inaugureranno mercoledì 15 maggio ad Atripalda, all’interno della cantina scavata nella roccia del Vulcano. Quella stessa roccia da cui si nutrono le vigne di Aglianico con il superbo Taurasi, eppure vini come il Fiano, il Greco di tufo, la Falanghina, il …
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